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Che cosa è rimasto di Tangentopoli?

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17 febbraio 1992

Che cosa è rimasto di Tangentopoli?

Piercamillo Davigo, Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo (Fotogramma)
Piercamillo Davigo, Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo (Fotogramma)

«Io dico che in tutta la Sicilia, provincia tanto ricca e antica, con tante città, e tante famiglie tanto ricche, non c’è stato nessun vaso d’argento, alcuno corinzio o delio, nessuna gemma o perla, nessuna cosa fatta di oro o di avorio, nessuna statua di bronzo, di marmo, di avorio, dico di nuovo (non c’è stato) alcun dipinto né su quadro né su tessuto che abbia esaminato, indagato e che non abbia portato via se gli fosse piaciuto». Un accusatore e un accusatore. L’accusato è l’ex Gaio Licinio Verre, ex pretore in Sicilia. L’accusatore è un giovanissimo avvocato di nome Marco Tullio Cicerone. Il processo si svolge a Roma nell’anno 70 A.C. Nulla si salva, dice Cicerone, dall’avidità del ex potente, depradatore seriale delle ricchezze dei luoghi che invece avrebbe dovuto amministrare.

Duemila e ottantasette anni dopo l’Italia è il sessantesimo Paese al mondo nella classifica redatta dall’organizzazione Transparency International che registra la diffusione della corruzione secondo la percezione dei cittadini. Questo a venticinque anni dall’evento che avrebbe dovuto segnare una svolta nella storia della Repubblica, il Paese - per usare una espressione di Antonio Di Pietro - ha chiuso la stagione di Mani Pulite, ma non Tangentopoli.

Era il 17 febbraio del 1992 quando Mario Chiesa esponente del Partito socialista milanese e presidente del Pio Albergo Trivulzio veniva colto in flagranza di reato, veniva cioè sorpreso mentre intascava una mazzetta da un imprenditori. Sette milioni di vecchie lire, la prima tranche di una tangente di quattordici milioni, il dieci percento su un appalto che vale centoquaranta milioni. A consegnarli è un piccolo imprenditore monzese Luca Magni che decide di denunciare e così far scattare l’arresto. Un “mariuolo” lo definì Bettino Craxi nel tentativo di ridurne il ruolo e soprattutto di insolare il fenomeno. Ma Chiesa non è un mariulo isolato, una scheggia impazzita è parte di un sistema strutturato negli anni, bel oleato e codificato. Chiesa infatti a partire dall’interrogatorio fiume del 23 marzo 1992 confesserà di far parte di un sistema di corruzione che incassava tangenti su tutti gli appalti pubblici. Una prassi dunque consolidata. La corruzione di politici e funzionari pubblici non è solo uno strumento di arricchimento individuale: è invece uno strumento attraverso cui la politica stessa si autofinanzia.

L’inchiesta, condotta da Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo, inviduerà regole precise di spartizione dei fondi illeciti. Nel giro di due anni saranno indagate 4.520 persone, vengono coinvolti i vertici del mondo imprenditoriale e politico del momento. La Democrazia cristiana e il Partito socialista verranno spazzati via, il partito comunista sopravviverà grazie alla scelta di trasformarsi. Bettino Craxi interrogato da Antonio Di Pietro nel corso del processo per la maxi tangente Enimont dirà: «Io sono sempre stato al corrente della natura non regolare dei finanziamenti ai partiti e al mio partito».

Deposizione di Bettino Craxi al processo Enimont

Venticinque anni dopo di quella stagione che cosa è rimasto? Se ripercorriamo la cronaca di questi venticinque e passa anni vediamo che il problema sta sempre lí, granitico, in fondo poco o per nulla scalfito dalle ondate di inchieste che ciclicamente si ripetono. Il Mose a Venezia ed Expo a Milano, ma tornando indietro nel tempo e spostandoci da Nord a Sud troviamo l'inchiesta sugli appalti dei “Grandi eventi”, ovvero i mondiali di Roma di Nuoto, il G8 alla Maddalena, il 150° dell’Unità d'Italia. E poi le verità, tremende, che riguardano gli appalti per la ricostruzione dell’Aquila dopo il terremoto del 2009. A gennaio 2014 una nuova inchiesta sulle tangenti per gli appalti relativi alla messa in sicurezza e alla ricostruzione degli edifici porta all’arresto di quattro persone, e altre otto sono indagate. Tutti sono accusati di corruzione e secondo l’accusa si sono appropriati indebitamente di oltre un milione e seicentomila euro.

Dunque, se questo è il quadro che cosa è rimasto di Tangentopoli. Cerco la risposta nell’analisi di tre testimoni.
Gherardo Colombo nel libro Lettera a un figlio su Mani Pulite (Garzanti) ha scritto: «...il danno più grave causato da Tangentopoli credo risieda nel continuo stravolgimento delle regole, nel tradimento della loro funzione, nell’affermarsi di una cultura fondata sul privilegio, sulla sopraffazione. E che quindi ostacola l'attuazione della democrazia… Premesso che chi è pericoloso deve essere isolato per la sicurezza di tutti, oggi sono convinto che infliggere il male in risposta alla violazione della legge non fa che legittimarlo. La risposta a chi contravviene alle regole dovrebbe essere formativa e riconciliativa… Se Mani Pulite ha costituito un tassello importante nel mio percorso di crescita, credo possa servire a tutti almeno sotto due profili diversi: da una parte, lo ripeto, perché ha diffuso notizie prima nascoste; dall'altra perché ha mostrato che i problemi non possono essere risolti delegandoli ad altri. E che soprattutto non si può delegare a una funzione come quella giudiziaria che è stata creata per occuparsi di devianze marginali in un contesto di generale rispetto delle regole da parte della società, la soluzione di questioni endemiche…».

Per Piercamillo Davigo, se in questi anni la cosiddetta corruzione accentrata, per intenderci la maxi tangente Enimont, ha avuto un oggettivo ridimensionamento, è invece cresciuta senza arrestarsi quella decentrata, quella che si incunea nella amministrazione pubblica, la piccola e media tangente che deforma e corrode. Al punto che dalla pagine del Corriere della Sera, Davigo arriva all’amara conclusione: «È drammatico quanto poco sia cambiata la situazione e quanto sulla corruzione peggiori la deriva dell’Italia nel panorama internazione».

Cambio fronte e cerco il punto di vista di Piergiorgio Baita, l’ex amministratore delegato di Mantovani, nel 1992 coinvolto dalla tangentipoli veneta e oggi, dopo un primo patteggiamento, testimone chiave al processo Mose.
«Prima del 1992 - mi dice Baita - c’era un rapporto diretto tra gli imprenditori e la politica. Il ’92 se vogliamo, storicamente, è l’epoca in cui sono stati spazzati via i segretari amministrativi dei politici, i Severino Citaristi, coloro cioè che raccoglievano i soldi dagli imprenditori per finanziare la politica. La differenza principale è che in quella fase gli individui rappresentavano i partiti, erano i partiti. Oggi non è più così, oggi nessuno si sognerebbe di dire che i vari Galan sono il partito; allo stesso modo allora nessuno dentro la Dc si sarebbe sognato di dire che Citaristi prendeva soldi in proprio. Oggi gli individui sono nel partito per prendere soldi, non prendono i soldi per il partito. L’altra grande evidenza è che nel ’92 tra gli arrestati si potevano trovare le due categorie: imprenditori e politici. Chi rimase totalmente fuori furono i funzionari, la burocrazia. Ciò getta le fondamenta per il cambio strutturale della corruzione: il potere crescente che acquisisce la burocrazia rispetto alla politica. Comunque l’elemento centrale del ’92 è il disvelamento di un meccanismo di finanziamento della politica cresciuto al punto tale da condizionare la vita economica di alcuni settori produttivi, quindi la vita economica del Paese, quindi la vita del Paese, e cioè la cultura, la mentalità. Il punto di non ritorno di quella fase storica è stato il discorso che Bettino Craxi ha pronunciato il 3 luglio del ’92 Un discorso tenuto alle Camere, – prosegue Baita, – mica in un convento: alle Camere e zitti tutti. Si trattava di
un sistema ipocritamente accettato da tutti e sostanzialmente venuto alla luce perché il fondamento era venuto a mancare. L’arresto di Mario Chiesa è la contingenza storica ma non è la causa di Mani Pulite. La causa reale è che si era rotto il patto tra politica e impresa».

L'impresa ha sempre considerato le tangenti un male necessario. Parola di Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani

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