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Il paradosso della scissione tra il «no» a Renzi e il…

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Il paradosso della scissione tra il «no» a Renzi e il «sì» al Governo-fotocopia

Michele Emiliano e Matteo Renzi. (Agf)
Michele Emiliano e Matteo Renzi. (Agf)

Se scissione sarà, oltre al trauma produrrà un grande paradosso. Che chi lascia il Pd di Renzi in radicale opposizione con la sua politica, vuole - però - sostenere il Governo Gentiloni, cioè una ”fotocopia” dell’Esecutivo Renzi.

Al momento, uno dei motivi su cui si consuma il rischio scissione è sulla data delle elezioni che trascina con sé la data del congresso. Non una questione di calendario, spiegano dalla sinistra Pd che vuole il voto nel 2018 per garantire stabilità al Paese. E qui nasce un paradosso. Perché la stessa sinistra si pone in radicale opposizione a Renzi ma, allo stesso tempo, vuole sostenere un Governo che è la fotocopia di quello precedente. In pratica, uscirebbe dal Pd per rafforzare un Esecutivo in continuità con le politiche renziane. Che sia questa la missione lo aveva detto lo stesso Gentiloni al momento di assumere l’incarico confermando il programma di riforme del suo predecessore. E allora, il cortocircuito della scissione è che i sostenitori più forti del Governo diventerebbero gli avversari di Renzi mentre lui - che è l’azionista di riferimento - proverebbe a farlo cadere.

Un paradosso che diventa ancora più stridente quando si ragiona sui numeri. Nei giorni scorsi, nelle numerose riunioni che la minoranza Pd ha tenuto al suo interno per prepararsi a tutti gli scenari, si è discusso anche della nascita di nuovi gruppi parlamentari dopo la rottura. Il calcolo è che con la sinistra di Bersani e Speranza, andrebbero 41 deputati e 23 senatori. Una pattuglia di tutto rispetto che però non pescherebbe solo dalle fila del Pd ma anche dai gruppi che oggi sono all’opposizione come, per esempio, da Sinistra italiana (ex Sel) che non sosteneva il Governo Renzi e che – oggi - non sostiene quello Gentiloni. In pratica, con lo strappo, si rafforzerebbe la maggioranza portando al Governo numeri in più di quelli che ha oggi. Alla fine, si potrebbero ritrovare a votare la fiducia pure quelli che non l’hanno mai fatto pur di non andare al voto prima del febbraio 2018.

L’obiettivo della stabilità è un argomento e ha una sua forza ma in questo contesto si fa fatica a non cogliere gli aspetti contraddittori. Decidere una rottura traumatica con il Pd di Renzi per l’incompatibilità con la sua visione del Paese e poi sostenere un Governo che si muove su quella scia, è un azzardo politico oltre che un paradosso. E soprattutto scatenerà un gioco tutto tattico - e poco di sostanza - tra chi vorrà continuare la legislatura a tutti i costi chi - come Renzi - vorrà interromperla. Una partita fatta di trappole che certo non produrrà stabilità ma il suo contrario. È probabile che l’incidente ci sarà sui voucher ma di certo quello che appare poco probabile è che il Pd di Renzi e la nuova sinistra (ex Pd) potranno scrivere insieme la legge di bilancio con cui si presenteranno alle urne. Come faranno due partiti in guerra tra loro, con una visione divergente della crisi e delle sue soluzioni, a mediare sulle misure economiche? Una scissione esige una sua declinazione coerente nelle politiche per il Paese e, quindi, una distanza con la “casa” che si è lasciata. C’è, quindi, nel passaggio tra il “no” a Renzi e il “sì” a Gentiloni un angolo un po’ buio che non si sa ancora come svoltare. E che è al centro delle ultime discussioni e mediazioni notturne prima dell’assemblea Pd di oggi.

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