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Il congresso Pd e le «regole della casa» dopo la scissione

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politica 2.0

Il congresso Pd e le «regole della casa» dopo la scissione

Alla fine Emiliano non lascia il Pd e si candida contro Renzi. «Questa è casa mia, casa nostra», ha detto. Si, ma quali sono le regole della casa, come si sta insieme? A questo deve rispondere un congresso dopo una scissione. Il quadro non è del tutto completo ma i tasselli lentamente prendono posto. Michele Emiliano dopo giorni di traccheggio ha scelto di restare e sfidare la leadership di Renzi, Roberto Speranza – invece – non cambia idea e annuncia la formazione di un nuovo partito mentre Guglielmo Epifani si sta incaricando di chiamare i deputati della minoranza per convincerli a formare un nuovo gruppo. Non è chiaro quante siano le adesioni ma forse un po' meno del previsto e questo spiegherebbe anche la reazione nervosa di Speranza contro Emiliano: «Si candida nel PdR, partito di Renzi». Il sottotitolo è un’accusa di “tradimento” ed è solo un episodio tra i tanti che hanno segnato questa stagione del partito. Perché uno dei virus che è rimasto attaccato al centro-sinistra della seconda repubblica, dai tempi dell'Ulivo e con più forza nell'ultimo Pd renziano, è proprio l'assenza di rispetto – sia pure di facciata - per le scelte dei “compagni”. Un'intolleranza che si è trascinata insulto dopo insulto, da un “ciaone” all'altro fino a quest'ultima tappa della scissione.

E allora la prima missione di un congresso che si apre dopo una rottura, dovrebbe essere proprio quello di fare un patto su come si sta dentro quella che ieri Emiliano chiamava «la mia casa, la nostra casa». Più importante che scegliere il leader è diventato scegliere regole di legittimazione reciproca. Quello che infatti è saltato dentro la casa Pd è proprio un metodo di convivenza con cui maggioranza e minoranza riescono ad accettarsi e a riconoscere i rispettivi ruoli. Non ha alcun senso andare a primarie, eleggere un nuovo leader e il giorno dopo tornare alla guerriglia che ha segnato tutta questa stagione dal 2013 a oggi, dai 101 di Prodi fino alla scissione.

Il rischio invece è proprio questo. Che ci sia una nuova conta evitando una discussione su quello che è stato l’epicentro della rottura. E tornando a sfidarsi il giorno dopo i gazebo, con una smania perenne di nuovi banchi di prova, che siano le amministrative, le elezioni anticipate o un congresso straordinario.

Quello che è mancato non è stata solo il rispetto per la regola della maggioranza che decide, ma i luoghi in cui si sono discusse a fondo le scelte di chi ha la guida. La riduzione di questi spazi è stata molto accentuata nella fase renziana ed è a questa marginalità che la minoranza ha reagito. Ora il punto è che non tutta la sinistra Pd ha scelto la strada della scissione. Che alcuni tra gli esponenti dell'area di Bersani e Speranza resteranno e che il nuovo congresso ridefinirà le aree Pd. Si continuerà con il metodo che chi vince asfalta gli altri? Il rischio vero è che senza un passaggio congressuale su questo snodo e senza una certezza sui rispettivi ruoli – di maggioranza e di minoranza - non basterà un congresso per frenare gli abbandoni. E si potrebbe assistere a un secondo tempo della scissione.

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