Ieri Orlando ha lanciato la sua sfida a Renzi contro la «politica della prepotenza». Ma nelle stesse ore nel Pd si discuteva di una politica più incombente: le privatizzazioni.
La riunione del gruppo Pd al Senato, ufficialmente, si è chiusa con quelle formule di rito che tendono a gettare acqua sul fuoco: l’incontro è stato positivo, si costituirà un gruppo di parlamentare per esaminare il tema delle privatizzazioni nel suo complesso. Fuori dall’ufficialità, il partito – o settori del Pd – intendono riportare la discussione dentro le sedi politiche e più lontano dal Ministero di Padoan visto che si tratta di una questione elettoralmente molto sensibile, che ha - tra l’altro - una scadenza ravvicinata, quella del Def di aprile. In ballo ci sono le quote di Poste e Ferrovie da privatizzare per agganciare il percorso di riduzione del debito ma non è ancora chiaro - come dimostra la riunione di ieri - quale sarà la linea del Pd.
Ieri Andrea Orlando ha lanciato la sua corsa alla leadership Pd contro la “politica della prepotenza” e non era chiaro se si rivolgesse solo a Renzi o anche a Emiliano - visti alcuni tratti in comune tra i due – ma la gara a tre non potrà limitarsi solo alla cifra caratteriale degli sfidanti. Già la scadenza di aprile li costringerà ad affondare la lama dialettica nelle questioni incombenti come sono le privatizzazioni che – al momento - fanno parte del menù di riforme che l’Italia dovrà presentare a Bruxelles. Ed è qui che scatterà il dilemma non solo nella “gara a tre” nel Pd ma anche per quella sinistra che si sta costituendo fuori dai Democratici e sarà costretta a scegliere un bivio. Una sinistra che ora si è mescolata con gli ex di Sel ma che nasce da personalità come D’Alema e Bersani che hanno vissuto una stagione di privatizzazioni e di liberalizzazioni.
Insomma, come sempre, le scadenze europee impongono una messa fuoco sui dilemmi politici che nel tempo sono sempre uguali: come ridurre il debito, con privatizzazioni, tagli di spesa o tasse? Tra l’altro, non c’è nemmeno la comodità di essere fuori dalle aule parlamentari, visto che le Camere votano una risoluzione sul Def, quindi tutte le sinistre – fuori e dentro del Pd – dovranno assumere una scelta. E la singolarità è che non c’è solo la gara a sinistra ma anche al centro. Perché ieri, per esempio, nella riunione del gruppo parlamentare del Senato, le maggiori cautele venivano da un ex Margherita come il sottosegretario Giacomelli mentre l’ex Ds Enrico Morando - pur consapevole delle implicazioni sociali del passaggio di Poste al mercato - spingeva per la privatizzazione. Così come un ex popolare come il ministro Delrio continua a essere perplesso se privatizzare o no settori dei Trasporti (le Frecce) per le ripercussioni sui pendolari. Non solo a sinistra, insomma, c’è la gara della diffidenza verso uno strumento che continua a entrare e uscire dai programmi di governo del Pd.
Sempre Andrea Orlando nell’annunciare la sua sfida a Renzi ha parlato di «rifare il Pd, compiere quella speranza che non si è mai compiuta». Ma una delle incompiute è l’eterna altalena in cui ha oscillato il mondo del centro-sinistra, riformista o “socialista” a stagioni alterne.
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