«C'è un' indagine in corso della Procura di Catanzaro – ha detto l 'ex prefetto Giuseppe Pecoraro, procuratore della Figc, oggi in Commissione parlamentare antimafia – che riguarda alcuni soggetti per attività criminali su operazioni adiacenti allo stadio di San Siro per servizi di catering» che poi vengono effettuati all'interno dello stadio nelle partite del Milan.
Pecoraro ha spiegato che ne ha parlato un collaboratore di giustizia e ha precisato che la procura sportiva «non ha procedimenti sul Milan», in quanto la procura di Milano non ha aperto procedimenti che riguardano il rapporto tra il Milan e la 'ndrangheta.
Deve trattarsi - a questo punto - di un'indagine che ricalca quella andata in onda a Milano e che in Appello (in attesa della Cassazione) si è chiusa a ottobre 2016 e che ha visto, anch'essa il Milan totalmente estraneo.
Il 29 ottobre dello scorso anno la Corte d'Appello di Milano ha infatti assolto, «per non avere commesso il fatto», dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa Cristiano Sala, il proprietario di una società di ristorazione finito in un'inchiesta di due anni prima della Dda sulla cosca legata al clan di Reggio Calabria Libri-De Stefano-Tegano, ma lo ha condannato a due anni e sei mesi di reclusione per avere corrotto un carabiniere al fine di ottenere l'appalto per il catering delle partite del Milan a San Siro. Secondo l'accusa, l'imprenditore avrebbe pagato il militare per effettuare una ispezione allo Stadio Meazza e indurre così la società appaltante (il Milan) a non rinnovare il contratto con un'altra società di ristorazione, per la stagione calcistica 2014-2015, consentendo così a Sala di aggiudicarsi l'appalto.
I giudici di secondo grado hanno condannato altri imputati, tra cui Giulio Martino, Domenico Del Conte, Edmondo Colangelo e Marco Santulli, per avere costretto Sala, minacciandolo di morte insieme alla moglie (all'epoca incinta), a consegnare loro la somma di 40mila euro. Sala sarebbe stato poi costretto a restituire un prestito da 100mila euro, con interessi pari al 10% mensili. La Corte d'appello ha anche confermato la condanna in primo grado a 20 anni di reclusione per il presunto capo dell'associazione Giulio Martino, che aveva chiesto di essere giudicato con rito abbreviato. Il 18 ottobre la Corte d'appello di Milano aveva infatti confermato le condanne (20 anni di carcere e 11 anni e tre mesi, rispettivamente per Vincenzo e Domenico Martino) e per altri sei imputati che avevano scelto il rito ordinario, per accuse che andavano dall'associazione per delinquere di stampo mafioso al traffico di stupefacenti alla corruzione, alle estorsioni.
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