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Crisi bancarie, tutti i dubbi sul bail-in

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Crisi bancarie, tutti i dubbi sul bail-in

  • –Alessandro Graziani

Tra le tante direttive approvate negli ultimi anni dall’Unione europea, la più nota e temuta in Italia (proprio in questi giorni)è la cosiddetta Brrd, ovvero la Bank recovery and resolution directive. Stiamo parlando della direttiva che dal 1° gennaio 2016, dopo l’approvazione a maggioranza da parte del Parlamento italiano, disciplina le crisi bancarie coinvolgendo anche investitori e risparmiatori detentori di azioni, obbligazioni e depositi fino a sopra i 100.000 euro.

La motivazione “globale” della svolta, che si sta rivelando epocale nel minare il consolidato rapporto fiduciario tra banche e clienti in Italia, nasce dalla volontà politica di evitare che il costo dei fallimenti bancari ricada sulle spalle degli Stati e quindi dei contribuenti. Dopo il crack di Lehman Brothers del 2008, la crisi bancaria portò all’iniezione di capitali statali nelle banche sia degli Stati Uniti che di molti Paesi Europei (ma non in Italia). Per evitare il ripetersi di maxi-salvataggi pubblici o del cosiddetto bail out, in Europa si è passati al bail in, ovvero al salvataggio «interno» che coinvolge azionisti, obbligazionisti e depositanti (fino alla soglia garantita dei 100.000 euro). Il bail in si applica fino a un massimo dell’8% delle passività della banca.

Finora la nuova normativa non è mai stata sperimentata. Ma i primi effetti (negativi) sono già stati sperimentati in Italia e in Portogallo nei due anni di fase transitoria pre-bail in che nel 2014 e nel 2015 sono stati disciplinati dal regime del burden sharing (condivisione del rischio). In Italia a fine 2015 quattro banche in condizioni di dissesto sono finite in procedura di risoluzione: Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti. Secondo le nuove regole di risoluzione, gli istituti sono stati divisi in una bad bank contenente i crediti in sofferenza e una good bank che ha proseguito l’attività. Il peso delle perdite è ricaduto in buona parte su azionisti e obbligazionisti subordinati delle quattro banche, che in gran parte erano anche i clienti-depositanti degli istituti. In quell’occasione si è evidenziata la lacuna principale della nuova regolamentazione - già sottolineata da Banca d’Italia in sede di negoziati con l’Europa - per l’effetto retroattivo della normativa che comprende nel burden sharing anche le obbligazioni emesse prima dell’entrata in vigore delle nuove regole.

Proprio il caso delle quattro banche italiane finite in risoluzione ha determinato un cambiamento «culturale» nell’approccio dei clienti nei confronti degli istituti di credito. La solidità patrimoniale della banca è diventata uno dei principali criteri di scelta per i depositanti. Banche in crisi hanno visto deflussi di liquidità significativi, in gran parte chiusura di conti correnti privati o di piccole imprese, a favore di istituti con coefficienti patrimoniali maggiori. E il Cet 1, principale indicatore di solidità patrimoniale, ha fatto la sua comparsa negli spot televisivi delle banche che cercano di attrarre clienti non più con i rendimenti dei depositi ma con la solidità dell’istituto. E chi ha più di 100.000 euro di depositi ha provveduto a diversificare su più banche, pur di non correre rischi futuri di essere coinvolto in una procedura di bail in.

Il possibile coinvolgimento dei depositi dei clienti nelle perdite delle banche è stata oggetto di ampie critiche, anche di incostituzionalità (l’articolo 47: la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme). Dubbi espressi pochi giorni fa anche dal Procuratore della Repubblica di Milano Francesco Greco: «L’introduzione del bail in desta perplessità a livello giuridico, il cliente non partecipa alla spartizione degli utili ma viene chiamato a contribuire alle perdite create da banchieri a volte disinvolti». Regole contestate da più parti, ma modificabili solo a partire da giugno 2018 come auspicato dal Governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco già al Forex di gennaio 2016: «La direttiva contiene una clausola che prevede la revisione, occasione che va sfruttata facendo tesoro dell’esperienza».

Tra le varie regole introdotte dalla direttiva Brrd, esiste l’eccezione dell’aumento precauzionale garantito dallo Stato per banche in crisi ma ancora solvibili. In questa casistica rientrano i piani di salvataggio europeo di Mps e di Popolare Vicenza e Veneto Banca che in questi giorni sono oggetto di trattativa tra il Governo italiano e la commissione Ue. Si vedrà nelle prossime settimane come andrà a finire e quale saranno le conseguenze per le banche e soprattutto per i risparmiatori coinvolti. Quello che si può dire già da oggi è che misure pensate a tavolino per risolvere casi di emergenza bancaria, stanno dimostrando di richiedere mesi di tempo per una soluzione anche a causa delle diverse esigenze della Vigilanza Bce e della Commissione Ue. L’urgenza di una crisi bancaria, con le ripercussioni immediate sulla fiducia dei risparmiatori, appaiono incompatibili con i tempi delle burocrazie europee.

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