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Via alla fase 2 con cuneo e «pensione minima»

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le tappe del confronto

Via alla fase 2 con cuneo e «pensione minima»

Si riparte il 6 aprile dal tema della pensione minima di garanzia e del sostegno previdenziale ai giovani con carriere discontinue. E si prosegue il 13 aprile con un incontro sulla governance Inps, al quale, parteciperà, oltre al ministero del Lavoro, anche il Mef. L’agenda della “fase 2” del piano previdenza, avviato lo scorso autunno con l’Ape e il rafforzamento delle quattordicesime, è stata stilata nel corso del round di ieri al ministero del Lavoro tra Governo e sindacati. Un partita complessa in cui si dovranno affrontare gli scogli della riforma della previdenza integrativa, della separazione tra previdenza e assistenza. E, soprattutto, della riduzione del cuneo contributivo.

Ieri il ministro Giuliano Poletti non ne ha fatto cenno. Anche perché molto dipenderà dalle reali disponibilità finanziarie su cui potrà contare il Governo Gentiloni. Il quadro comincerà ad essere più chiaro il 10 aprile con la presentazione del Def. Anche se la dote effettivamente utilizzabile per un eventuale taglio del cuneo la si conoscerà soltanto a ottobre in vista del varo della prossima legge di Bilancio.

A prevedere uno stretto collegamento tra un alleggerimento del peso contributivo sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato e una “possibile” pensione minima di garanzia è lo stesso verbale d’intesa siglato nel settembre scorso da esecutivo e sindacati su Ape e rafforzamento delle 14esime. A spingere per la pensione minima non sono solo i sindacati ma anche il Pd. Per il momento il ministro Poletti si è limitato ad affermare che nel confronto sulla “fase 2” «il primo tema che affronteremo è la previdenza per i giovani» considerando «la ritardata entrata nel mercato del lavoro e le carriere discontinue». Ma lo stesso Poletti nelle precedenti riunioni aveva lasciato intendere che questa discussione si sarebbe dovuta sviluppare in parallelo con quella sull’alleggerimento del cuneo.

Sul tavolo del premier Paolo Gentiloni c’è in “stand by” da alcune settimane un dossier, preparato dai tecnici di Palazzo Chigi in collaborazione con quelli dei ministeri del Lavoro e dell’Economia, che prevede una sforbiciata strutturale di 3-5 punti di contributi in favore dei neo-assunti con contratto a tempo indeterminato nella nuova versione “a tutele crescenti” introdotta dal Jobs act. Un intervento da 1-1,5 miliardi che non convince troppo Matteo Renzi. Proprio i democratici sembrano caldeggiare un’altra opzione: la decontribuzione totale per 3 anni per il primo impiego, da affiancare per gli under 35 a una “dote formazione” portabile. Oltre al nodo delle risorse disponibili, dunque, c’è anche quello della misura eventualmente da adottare.

Intricata resta poi la matassa della riforma della previdenza complementare. Governo e sindacati convergono sull’esigenza di rafforzare e rendere (fiscalmente) più appetibili la forme integrative, ma, anche in questo caso, tutto dipende dalle risorse disponibili. Non è escluso, comunque, che questo obiettivo venga indicato nel prossimo Def, magari con la stessa novità annunciata ieri da Poletti: una maggiore spinta “all’integrativa” anche sul versante della sanità. Una questione, quest’ultima, che sarà affrontata già nel prossimo incontro del 6 aprile con i sindacati.

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