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Quel duello Renzi-Padoan sulla manovra d’autunno

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L'ANALISI

Quel duello Renzi-Padoan sulla manovra d’autunno

(LaPresse)
(LaPresse)

La posta in gioco è quella: la manovra d’autunno. Una manovra che non si annuncia per niente leggera, per niente facile e per niente elettorale. Esattamente il contrario di ciò che serve a Renzi per affrontare la campagna elettorale del 2018. Così si spiegano le tensioni che si sono sentite ieri nel confronto tra il ministro Padoan e il gruppo dei parlamentari Pd . I renziani, soprattutto, hanno alzato un muro su due fronti, sulle privatizzazioni e sulla riforma del catasto, facendo notare al ministro che è tempo di scelte politiche, non tecniche. Un chiaro segnale del fatto che spetta a Renzi la titolarità delle decisioni. Ma dove porterà il duello cominciato ieri? C’è chi dice al voto d’autunno prima della manovra d’autunno.

La vittoria nei circoli Pd, in attesa dei risultati dei gazebo, ha avuto già il suo effetto nella dinamica dei rapporti tra Renzi e il Governo. Che è diventata tutt’altro che armonica, come si è visto ieri nella riunione tra il ministro Padoan e il gruppo Pd. Non c’è stato solo il nuovo altolà dell’ex premier fiorentino sulle tasse ma nell’assemblea alla Camera tutti i renziani hanno alzato un muro su due delle proposte messe in campo dal titolare dell’Economia: riforma del catasto e privatizzazioni di Poste e Fs. Entrambe hanno il difetto agli occhi di Renzi e dei suoi fedelissimi di non andare incontro al favore popolare per ciò che evocano. La prima potrebbe portare ad aumenti della tassazione – anche se nel lungo periodo – nonostante risponda a un’esigenza di redistribuzione ed equità; la seconda sconta un’ostilità anche ideologica. Il punto è che il titolare dell’Economia, come ha detto nella riunione, si muove tra Scilla e Cariddi: tra il rischio di una procedura d’infrazione se l’Italia non diminuirà il peso del debito pubblico (a questo servirebbero le privatizzazioni) e la necessità di non deprimere la difficile ripresa con pesanti tagli di spesa. Che, peraltro, non sarebbero ugualmente graditi.

Ecco quindi che una “coperta corta” diventa l’arena di un duello che si trascinerà fino all’autunno. È  vero che mancano ancora diversi mesi per mettere a punto le misure ma intanto c’è il varo del Def dove si comincia a delineare la direzione di marcia. E questo Documento diventa il terreno per mettere in chiaro chi deve fare che cosa. Era un po' questo il senso di alcune frasi dette da alcuni deputati molto vicini a Renzi quando – nell’assemblea di ieri - facevano notare a Padoan che un conto sono le scelte tecniche, altra cosa sono quelle politiche. Un modo neanche troppo gentile per dire che la titolarità delle decisioni spetta a Renzi che si avvia a un’altra vittoria dopo quella di domenica scorsa tra gli iscritti del Pd. E la strategia dell’ex premier per la legge di stabilità si riassume in quello che lui stesso ha detto al Tg3: «Con la flessibilità, con la battaglia in Ue, tagliando gli sprechi e abbassando le tasse». Nella sostanza, al di là degli slogan, quello che mette sul tavolo è un nuovo braccio di ferro con Bruxelles su cui spinge Gentiloni e Padoan.

Questo è il nodo. E non è detto che possa essere l’Europa a scioglierlo ancora una volta concedendo ulteriori margini di flessibilità (dopo quelli concessi lo scorso anno) per andare incontro alle esigenze elettorali del Pd. Renzi sa bene che non sarà una partita semplice e per questa ragione sembra si stia anche preparando a uno scenario di elezioni d’autunno. Se insomma la manovra non potrà avere le caratteristiche di raccogliere consenso è bene rompere gli argini prima e correre alle urne. Una ipotesi in cui si troverebbe d’accordo con Alfano e non è un caso che a sparare a zero sulla riforma del catasto sia stata pure Beatrice Lorenzin di Ap. Questo è il timore che serpeggia in alcuni ministri del Governo. Che quel distinguo tra scelte tecniche e politiche sia un modo per mettere ai margini il ministro dell’Economia o Carlo Calenda (che in questa partita sono in sintonia) e portare lo scontro fino allo strappo. In questi conti verso il voto manca – però - un tassello fondamentale: il Quirinale.

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