Il governo conferma l’impegno di varare, nel corso del 2017, «misure strutturali» di decontribuzione del costo del lavoro: le parole (piuttosto generiche) sono state messe nero su bianco nel «Pnr», il «Piano nazionale delle riforme», esaminato ieri dal Consiglio dei ministri.
Finita l’era della decontribuzione generalizzata targata Jobs act (piena nel 2015, ridotta al 40% lo scorso anno) l’esecutivo sta studiando una misura ad hoc per i giovani (tra i 32 e i 35 anni), da inserire in autunno nella prossima legge di Bilancio. L’idea è quella di mettere in campo uno sgravio per tre anni a favore del primo impiego dei ragazzi, che secondo i primissimi calcoli dei tecnici di palazzo Chigi potrebbe fruttare 50-60mila assunzioni aggiuntive di giovani l’anno. La misura avrebbe un costo iniziale di 1 miliardo per poi attestarsi tra 3-4 miliardi a regime. Resta da vedere se, in prospettiva, e risorse permettendo, si potrà arrivare a un taglio strutturale del cuneo, per tutti, vecchi e nuovi assunti, da ripartire o in parti uguali imprese-lavoratori, oppure due terzi imprese, un terzo lavoratori.
Sempre sul fronte lavoro, si conferma anche un intervento mirato sui redditi familiari più bassi «per rendere vantaggioso il lavoro del secondo percettore di reddito» (di solito, la donna) attraverso un rafforzamento delle detrazioni fiscali (che potrebbero interessare, a seconda della tipologia di nucleo, lavoro dipendente, autonomo, figli a carico).
La concorrenza è un altro dei pilastri del Pnr. L’Italia in realtà arriva a questo appuntamento con un curriculum non proprio eccellente agli occhi della Ue. Perché la prima legge annuale per la concorrenza, adottata dal consiglio dei ministri nel febbraio 2015, è ancora ferma in Aula al Senato (è stata calendarizzata per il 20 aprile e si dovrebbe procedere con il ricorso alla fiducia). Il Pnr dà conto della volontà di chiudere rapidamente l’iter, che dopo Palazzo Madama prevederà un rapido e ultimo passaggio alla Camera. Dopodiché si dovrebbe già mettere in cantiere la nuova legge. Per ora si parla in senso lato di un provvedimento da adottare, ma ci sarebbe l’orientamento di abbandonare la formula del disegno di legge, che si è mostrata estremamente complicata da gestire in Parlamento, preferendole quella del decreto legge.
Il Pnr rafforzerà ulteriormente gli interventi per l’inclusione partendo dalle previsioni contenute nella delega povertà, che quest’anno stanzia 1,620 miliardi per finanziare l’allargamento della Sia, risorse che salgono a 1,7 miliardi l’anno venturo. In particolare si punterebbe a estendere il reddito di inclusione anche a nuclei che, oltre ad avere i requisiti già previsti, hanno anche al loro interno un disoccupato over 55enne.
«Un elemento di novità nel Def - ha spiegato ieri sera il ministro Padoan - riguarda il benessere e l’inclusione sociale, con il concetto di benessere equo e sostenibile come parte integrante della strategia economica, con un primo set di quattro indicatori di come gli obiettivi di benessere sono sostenuti dalle politiche del governo». L’Italia si trova in buona posizione - ha sostenuto il ministro - per dire che non solo si pensa alla crescita ma si fanno politiche che «migliorano il benessere e l’inclusione sociale».
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