Niente aumento dell’Iva, una correzione strutturale da sei decimali, 1,6 miliardi per il pubblico impiego, un miliardo per la decontribuzione strutturale dei neoassunti under 35 più nuove misure per il rilancio di crescita e investimenti. A bocce ferme, quella che si profila in autunno è una legge di bilancio da almeno 17-20 miliardi, con un conto che però potrebbe crescere con ulteriori misure di politica economica espansiva al momento non ancora annunciate. Le indicazioni arrivano dai numeri del Def approvato ieri dal consiglio dei ministri e appena pubblicato dal Mef, insieme al Piano nazionale di riforme che conferma il taglio del cuneo ma non quello dell’Irpef. Ma andiamo con ordine.
Per effetto della manovrina, con l’aggiustamento strutturale da 3,4 miliardi chiesto dalla commissione Ue, il deficit di quest’anno si attesta al 2,1% del Pil. L’anno prossimo, in base ai programmi già concordati con Bruxelles, bisognerebbe scendere a quota 1,2%, con una correzione da nove decimali che varrebbe dunque 15 miliardi abbondanti. In questo scenario vanno considerati anche i 19,5 miliardi di aumenti Iva da sterilizzare, ma alla lista della spesa si aggiungono anche almeno 3 miliardi per le nuove misure espansive già annunciate, i costi delle spese indifferibili, cioè quelle che si ripetono ogni anno (le missioni internazionali, per esempio) e gli interventi ulteriori che politica e governo vorranno mettere in campo nell’ultima manovra prima delle elezioni politiche. Il conto balza quindi abbondantemente sopra i 20 miliardi: una cifra difficile in tempi normali, e praticamente ingestibile a pochi mesi dalle elezioni politiche con un governo già percorso oggi dalle tensioni pre-voto.
A limare la montagna, però, intervengono parecchi fattori, alcuni certi e altri probabili. Fra i primi c’è il fatto che la manovrina appena approvata avrà un effetto strutturale anche il prossimo anno, fra i due e i tre decimali di Pil. Al secondo gruppo appartiene invece la trattativa con l’Europa, che è ormai un serial senza conclusione. L’obiettivo del governo è di alzare l’obiettivo di deficit del 2018, dall’1,2% scritto oggi verso quota 1,8% (cifra accarezzata dal ministero dell’Economia) o 2% (numero vagheggiato dalle parti di Palazzo Chigi e soprattutto nel Pd). A seconda del punto in cui in autunno si fermerà la fune tirata fra Roma e Bruxelles, si stabilirà l’entità effettiva della manovra. Ottenere dalla Ue la possibilità di fare deficit l’anno prossimo per l’1,8% di Pil, comunque, significherebbe finanziare in deficit una buona metà della nuova sospensione delle clausole Iva.
Riassumiamo: in questo quadro, lo stop all’Iva costerebbe nove miliardi (gli altri 10 sarebbero in deficit), cinque miliardi servirebbero alla correzione strutturale che rimarrebbe da conseguire dopo lo “sconto”, e altri tre miliardi servono ai contratti del pubblico impiego e alla decontribuzione. Totale: 17 miliardi, a cui però vanno aggiunte le «spese indifferibili», cioè quelle da rifinanziare ogni anno, e gli altri interventi che il governo vorrà mettere in campo.
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