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Povertà, un piano nazionale da attuare (e monitorare) con…

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L'Analisi|memorandum

Povertà, un piano nazionale da attuare (e monitorare) con l'aiuto di tutti

Nella tradizione nazionale siamo abituati a raccontare di intese tra le parti sociali in materia di lavoro, previdenza, politiche per lo sviluppo o persino a sostegno di riforme istituzionali. Ieri a palazzo Chigi, per la prima volta, un premier e il suo ministro del Lavoro hanno siglato un memorandum per l'attuazione di un Piano nazionale contro la povertà, strumento ambizioso finalmente adottato dall'Italia (buona ultima in Europa, se non si considera la Grecia) per far arrivare un reddito di inclusione a una platea di almeno 400mila famiglie entro la fine dell’anno, vale a dire poco più di un quarto dei nuclei che vivono in condizioni di povertà assoluta (sono un milione e 528mila, secondo gli ultimi dati Istat, per un totale di 4,6 milioni di cittadini). L’intesa è stata sottoscritta con l'Alleanza contro la povertà, un cartello che rappresenta numerosi soggetti del Terzo settore e non solo che da ben più di un decennio pratica un'intensa attività di lobbying per fare decollare un programma nazionale di inclusione sociale.

La cerimonia di firma del Memorandum d'intesa sul reddito di inclusione

La povertà è cresciuta con la crisi
Come ha ricordato la Commissione Ue qualche settimana fa, l’Italia è uno dei Paesi dell’Unione con un tasso di povertà tra i più elevati e in aumento, in particolare, per i bambini. Nel 2015 il tasso di rischio di povertà o di esclusione sociale è arrivato al 28,7% (17,5 milioni di persone) e rimane nettamente superiore alla media Ue (23,7%). Un bambino italiano su tre è a rischio povertà e il disagio sociale è ormai andato oltre i bassi livelli di reddito se è vero - dice ancora l'Istat - che nel 2014 sono state registrate circa 650mila famiglie in lista d'attesa per un alloggio sociale e oltre 50mila le persone senza fissa dimora.

Dal Sia al Rei, in campo 1,6 miliardi
L'Italia con il via libera alla legge delega che dà vita al Reddito d'inclusione porta a compimento una sperimentazione avviata anni fa nelle principali città con l'erogazione di un trasferimento mensile denominato Sia, Sostegno per l'inclusione attiva. In pagamento dallo scorso novembre, da febbraio il Sia ha consentito di far arrivare un aiuto concreto a 70mila famiglie povere nelle quali vivono in media due figli minori: circa 320 euro al mese con una carta di credito a ricarica bimestrale. Le risorse che finanzieranno il Rei sono pari a 1,6 miliardi per il 2017, una dote messa assieme utilizzando anche i fondi non spesi l'anno scorso più un addendo di 150 milioni stanziato con la legge di Bilancio, mentre dall'anno venturo il Fondo nazionale contro la povertà avrà un finanziamento a regime di 1,8 miliardi. Sono cifre confermate sia nel Def sia nel piano nazionale di riforma approvati martedì dal Governo.

Oltre l’Isee per garantire una diffusione efficace
Impossibile dire oggi quante persone in difficoltà si riuscirà a raggiungere effettivamente nei prossimi mesi con questo aiuto condizionato alla prova dei mezzi (serve un Isee non superiore ai 3mila euro associato a un livello di reddito effettivo disponibile che sarà fissato nel decreto legislativo), un aiuto che scatterà solo con l'adesione del capofamiglia a un progetto personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativa predisposta dall'ente locale. Sperimentazioni mirate e Sia hanno preparato la strada. Ma ora, per il debutto vero del Rei, serve di più.

Serve un esercizio di implementazione efficace cui l'Alleanza potrà contribuire con un ruolo di primo piano. Già in fase di approvazione della legge delega diverse segnalazioni tecnico-pratiche dell'Alleanza sono state recepite, altre potranno essere adottate nel decreto legislativo atteso entro fine mese. Cruciale è stato, per esempio, il riconoscimento di livello essenziale di prestazione sia per il sostegno al reddito sia per i servizi alla persona che dovranno essere garantiti dai Comuni. Così come la scelta di affiancare l'Isee con un secondo indicatore (Isr) capace di misurerà il reddito disponibile del nucleo familiare assistito al netto di variabili di costo territoriali o di locazione. E, ancora, l'impegno a destinare una quota certa dei fondi stanziati per co-finanziare i servizi di inclusione che dovranno attivare gli enti locali. Cruciale per la riuscita di questo piano nazionale sarà poi il monitoraggio stretto sulla sua attuazione: non servirà solo per evitare sprechi o malfunzionamenti ma per garantirne gli sviluppi futuri. Perché un programma di contrasto alla povertà non è se non ha un respiro strutturale.

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