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Dossier Fillon-Macron, la sfida dei riformisti

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    Dossier | N. (none) articoliLa Francia sceglie il Presidente: un voto storico

    Fillon-Macron, la sfida dei riformisti

    PARIGI - Dei quattro candidati alle presidenziali francesi che, secondo i sondaggi, hanno la possibilità di superare il primo turno e andare al duello del ballottaggio, solo due – l’ex ministro dell’Economia Emmanuel Macron e l’ex premier François Fillon, il primo indipendente e il secondo vincitore delle primarie della destra – hanno un programma riformista. Che affronta in maniera realistica e credibile i temi dei conti pubblici e del rilancio dell’economia.

    Certo, con due approcci molto diversi. Gli elettori che domenica prossima decideranno di evitare il salto nel buio e opteranno per l’uno o per l’altro, sceglieranno un progetto di cambiamento più omeopatico, più consensuale – con il rischio di non dare al Paese una scossa sufficientemente forte – se indicheranno il nome di Macron. E invece una linea più dura – ma anche più ambiziosa, seppure con il rischio di suscitare una rivolta sociale – se preferiranno Fillon. Una differenza che loro stessi sottolineano peraltro in ogni comizio: «Una svolta radicale», dice Fillon; «No alla purga», risponde Macron.

    Fillon ha fatto decisamente la scelta della politica dell’offerta, con un imponente trasferimento di risorse verso le imprese (che beneficeranno di un alleggerimento della pressione fiscale pari a 40 miliardi, quasi due punti di Pil, sui 50 complessivi previsti) e le famiglie a reddito più elevato (la misura più simbolica è quella dell’abolizione dell’Isf, la tassa patrimoniale, che vale circa 9 miliardi). Scommettendo sul fatto che grazie (anche) a questa boccata di ossigeno, la crescita seguirà. Una crescita finalmente ricca di posti di lavoro, visto che l’obiettivo è di ridurre la disoccupazione dall’attuale 10% al 7% a fine mandato (lo stesso target di Macron). A finanziare il calo delle tasse dirette contribuirà un aumento di due punti dell’Iva (valore circa 15 miliardi) che andrà però a colpire più pesantemente le famiglie a reddito più basso. E infatti alcuni osservatori temono un impatto negativo sui consumi.

    Macron ha invece privilegiato un mix di politica della domanda e dell’offerta. Abbinando ai 33 miliardi di riduzione della pressione fiscale (divisi più o meno equamente tra imprese e famiglie, puntando in particolare al ceto medio) un piano di investimenti pubblici da 50 miliardi (mirato soprattutto sulla formazione e la transizione energetica) e un fondo da 10 miliardi (sempre pubblico, alimentato con il frutto di alcune privatizzazioni) per accompagnare l’ammodernamento dei processi produttivi delle aziende. Sul fronte specifico della patrimoniale, Macron ha deciso di mantenerla ma limitatamente ai redditi immobiliari, escludendo quelli da capitale.

    Entrambi i candidati prevedono comunque un calo della pressione fiscale in percentuale sul Pil, che scenderebbe dall’attuale 44,5% al 43,6% per Macron e addirittura al 42,9% per Fillon.

    Un approccio totalmente diverso è anche quello sul delicatissimo tema delle pensioni. L’ex premier prevede un aumento dell’età dagli attuali 62 a 65 anni, con risparmi per circa 20 miliardi. Il che significa un’applicazione rapida e poco graduale. Mentre Macron annuncia una riforma più strutturale, con una pensione a punti e soprattutto con regole uguali per tutti: la sua sintesi è «un euro versato avrà lo stesso valore per chiunque». Poiché si tratta di unificare le 36 casse oggi esistenti – e abolire i cosiddetti regimi speciali – l’ex ministro dell’Economia assicura che il nuovo sistema entrerà in vigore tra cinque anni. Durante i quali non cambierà nulla.

    Altro punto di divergenza alquanto emblematico è quello del taglio dei dipendenti pubblici: 500mila in meno (su circa 5,6 milioni) per Fillon; 120mila per Macron. Gli esperti dei think-tank ritengono più fattibile il programma di Macron. Anche perché l’elemento debole di questo obiettivo è quello relativo agli enti locali (che dovrebbero perdere 70mila posti nella versione Macron e ben 170mila in quella di Fillon), sui quali lo Stato ha ben poche possibilità di influire.

    Un tema, il numero di funzionari, che si inserisce ovviamente in quello, più ampio, della spesa pubblica. Anche qui, se l’analisi è simile, l’ordine di grandezza è molto diverso: 100 miliardi in meno per Fillon (con un target di spesa pubblica sul Pil al 50% a fine mandato), 60 per Macron (52% dall’attuale 57%). Cifre che vengono erroneamente messe in relazione con una spesa pubblica di 1.250 miliardi, quando solo 800 sono la parte comprimibile. L’operazione sarà insomma complicata per entrambi, e soprattutto per Fillon. Che si pone l’obiettivo di un bilancio in parità a fine mandato, mentre Macron immagina di scendere a un deficit dell’1 per cento.

    Su altri temi rilevanti, i due candidati prevedono invece le stesse riforme: sulla contrattazione sindacale (da trasferire, almeno per quanto riguarda l’orario, nelle imprese); sulla tassazione d’impresa (da portare al 25% dall’attuale 33,3%); sulla tassazione del capitale (con una flat tax del 30%). Macron, infine, dichiara che non cambierà la durata legale del lavoro (cioè le 35 ore, pur ripristinando l’esonero contributivo sulle ore di straordinario), mentre Fillon – altro punto potenzialmente esplosivo – ne annuncia l’abolizione. E la prospettiva, per i dipendenti pubblici, di passare a 39 ore settimanali.

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