Italia

Superati gli Usa per stock d’investimenti

  • Abbonati
  • Accedi
se made in italy pesa di più

Superati gli Usa per stock d’investimenti

Ceramica, meccanica (tanto automotive) ma anche chimica-farmaceutica. Sulla bilancia degli investimenti esteri italiani negli Usa, il “piatto” del Made in Italy pesa, per la prima volta, di più di quello Usa in terra italiana. Secondo i dati del Bureau of Economic Analysis del Dipartimento Usa del Commercio, in termini di stock di investimenti diretti, in 12 anni (dal 2003 al 2015), gli Usa hanno diminuito i loro verso l’Italia del 2,6% (pari a 22,5 miliardi di dollari nel 2015), mentre l’Italia li ha accresciuti negli Usa, arrivando, nel 2015, a toccare i 28,6 miliardi di dollari, ovvero a un incremento del 312% rispetto al 2003. Per la prima volta, insomma – ci dicono gli analisti statunitensi – lo stock dei nostri investimenti esteri tra Washington e Los Angeles ha superato quello americano su territorio italiano.

Nel “radar” Usa, l’Italia rappresenta la 28° posizione a livello mondiale per stock di investimenti dedicati e la 13° nella Ue. Ma se – in termini di flussi – noi siamo 12° per investimenti in Usa (8° tra i Paesi della Ue), gli americani ci vedono un po’ di più con il “binocolo”: per loro, nel 2015, siamo stati la 38° destinazione su cui investire a livello globale. Non stupisce, quindi, che nel 2015, rispetto al 2014 – sempre secondo i dati del Dipartimento Usa del Commercio – i flussi statunitensi verso di noi abbiano registrato una sostanziale contrazione (-79,8%), mentre quelli italiani oltre l’Atlantico siano balzati del 68,3 per cento.

Un quadro coerente con la bilancia commerciale di beni e servizi

Se l’interscambio Italia-Usa, nel 2016 – elaborazioni del ministero dello Sviluppo Economico su dati Istat – ha superato la “soglia psicologica” dei 50,8 miliardi, il nostro export ha sfiorato, l’anno scorso, i 37 miliardi. Mentre abbiamo acquistato dagli Stati Uniti per meno di 14 miliardi. Noi esportiamo loro soprattutto meccanica, macchine utensili, ma anche autoveicoli – con le supply chain tra i due poli dell’auto – e imbarcazioni. Acquistiamo preparati farmaceutici, veicoli e dispositivi spaziali, fertilizzanti e materie plastiche, ma anche strumenti di precisione.

Italia al 13mo posto nella classifica AT Kerney

Un “bicchiere mezzo pieno” anche secondo AT Kerney, che ieri ha reso noto il suo Indice di fiducia degli investimenti esteri, costruito in base alle valutazioni di una business community selezionata. Che sembra trascurare le incertezze legate alla politica del neo presidente Trump o ai negoziati per la Brexit, per affermare di voler investire, nel medio periodo, sia in Usa (1° tra le preferenze) che in Gran Bretagna (4°), così come in Germania (2°) e Cina (3°). Ovvero, laddove si presentano business climate e opportunità. E l’Italia? Sale di poco: dalla 16° posizione dell’anno scorso alla 13° di quest’anno. Ci riconoscono lo sforzo verso alcune riforme strutturali. Ma non basta.

Pesano imprevedibilità politica e tempi della giustizia

«Quelle statunitensi in Italia – ha spiegato Simone Crolla, membro della American Chamber of Commerce di Milano – sono per lo più operazioni di ampliamento e consolidamento dell’esistente. Tranne Philip Morris e Amazon non ci sono state operazioni greenfield. Numeri non all’altezza delle nostre potenzialità. Da noi pesano l’imprevedibilità politica, fiscale e i tempi della giustizia».

Tuttavia, ha concluso Crolla, «da tempo come Amcham vorremmo avere un giorno all’anno, riunite in una sola sede, tutte le istituzioni, da Ice a Sace alle agenzie di sviluppo locali, per poter invitare selezionate aziende Usa interessate a investire in Italia e consentire loro di relazionarsi con tutti. In Usa lo fanno da anni e tradizionalmente lo inaugura il presidente. Si chiama “Select Usa”. Quanto ci farebbe bene un “Select Italy”?».

© Riproduzione riservata