Il governo guadagna qualche giorno di tempo per mettere a punto una exit strategy e una soluzione-tampone per Alitalia. Sul tavolo si intrecciano numerose questioni, tutte drammatiche ma di orizzonti temporali differenti. La prima e più urgente domanda cui dare una risposta è - insieme alla nomina di 2-3 commissari per cui è in pole position la coppia Luigi Gubitosi-Enrico Laghi - la «continuità aziendale» che il governo potrà garantire per un periodo tanto più lungo quanto più cospicua sarà la dote che, con il decreto di nomina, sarà affidata agli amministratori straordinari. Certamente obiettivo del governo è scavallare l’estate per evitare un impatto sui viaggiatori e sul turismo ma la legge Marzano concede fino a 180 giorni di tempo al commissario (o ai commissari) per preparare un «piano di salvataggio» e sottoporlo ai ministri competenti. Il governo deciderà quindi di garantire la «continuità aziendale» fino a fine anno. Con quali costi è da vedere. Il miliardo di costo cui fece riferimento il ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda, prima del referendum, faceva riferimento a un complesso di spese più largo del semplice mantenimento della «continuità aziendale» (ammortizzatori sociali, per esempio, nella fase di liquidazione vera e propria). Più probabile una cifra dell’ordine dei 300-400 milioni che sarebbe garantita con un prestito-ponte statale o da una controllata come Invitalia o Cdp (che in ogni caso dovrebbe avere il via libera della Ue) o un prestito da soggetti privati vestito con la garanzia statale o con una forma di privilegio che, in caso di fallimento, consentirebbe di essere rimborsato prima degli altri crediti.
Questo percorso con i sei mesi di «continuità aziendale» è quello che alcuni azionisti chiamano di «ordinata liquidazione dell’azienda», che avrebbe il primo merito di evitare la bagarre estiva, intollerabile per qualunque governo, soprattutto in fase preelettorale. Avrebbe anche il merito di tenere unita e «operativa» la compagnia di bandiera nella prima fase dell’amministrazione straordinaria, cioè fino alla presentazione del piano.
Su un piano temporale immediatamente successivo c’è la riflessione strategica su cosa fare di Alitalia. L’opzione di una liquidazione in senso stretto resta sullo sfondo come possibile (e anche ufficialmente probabile). Ieri Calenda ha riproposto l’alternativa secca «vendita o liquidazione», volendo ancora una volta escludere qualunque forma di nazionalizzazione. Il governo lavorerà di certo per evitare la liquidazione, sia pure senza scoprire le carte su un ipotetico e organico «piano B». Certamente i commissari proveranno a cercare nuovi soci e in questa chiave già da tempo sta lavorando governo, a partire da Graziano Delrio.
Al ministro dei Trasporti non piace, infatti, né l’ipotesi della liquidazione né la soluzione intermedia della vendita a pezzi che potrebbe favorire sia i big carreer europei come Lufthansa sia le low cost operanti in Italia: compagnie certamente interessate alla spartizione di aerei, rotte, slot. Non piace perché non garantirebbe la «continuità aziendale» e si risolverebbe comunque nella perdita della concessione. Alitalia non esisterebbe più comunque e i suoi concorrenti si approprierebbero del suo mercato, non necessariamente dando garanzie solide su investimenti e servizi. Anche il costo sociale della vendita a pezzi sarebbe alto perché secondo alcune stime sarebbe possibile salvare, per questa strada, un massimo del 40-50% del personale. Anzitutto i piloti che ovviamente hanno più mercato, ma non è detto che riuscirebbero a preservare i livelli di reddito attuali.
Nuovi soci, dunque, ed è una scommessa tutta in salita perché l’obiettivo è trovare investitori pronti a scommettere nuovamente sulla compagnia e sul suo rilancio, ma con una perdita dell’ordine dei 600 milioni, un personale che rifiuta una ricapitalizzazione di due miliardi (e 900 milioni di nuova finanza), un posizionamento strategico irrisolto, flotte e rotte poco mirate sul lungo raggio, difficile che qualcuno si avvicini ancora alla compagnia per mettere soldi nel buco nero. Per questo tutti - dopo l’esito referendario - considerano l’ipotesi della liquidazione un’opzione comunque del tutto realistica.
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