Fino a domani o al più tardi al 2 maggio, giorno dell’assemblea di Alitalia-Sai che dovrebbe approvare la richiesta di amministrazione straordinaria, sulla carta soci e creditori potrebbero ancora ripensarci. Avallando una ennesima ricapitalizzazione o finanziando un nuovo piano di ristrutturazione che li mantenga a bordo della compagnia. Assai improbabile, viste le prese di posizione dei giorni passati: da Intesa Sanpaolo a UniCredit, passando per gli altri creditori convertiti in passato (Mps e Popolare Sondrio) e ai soci di capitale - Atlantia, Poste o quel che resta della stagione dei capitani coraggiosi - sono tutti pronti a scendere una volta per tutte da un aeroplano costoso e insicuro. Dunque, domani in assemblea i soci dovrebbero formalizzare la richiesta del commissariamento, che azzererà il capitale e affiderà i debiti ai commissari, con scarsissima probabilità di rientro.
In totale, significa bruciare in un colpo solo ben oltre i due miliardi, equamente ripartiti tra soci arabi e italiani. Vale a dire quanto investito o finanziato - per necessità più che per scelta - in questa ultima stagione breve, durata appena tre anni. La somma è imponente, ma la tragedia era annunciata e così tutti si sono portati avanti. Per lo meno tra gli italiani: «Il lutto è già stato elaborato da tempo», faceva notare ieri il consigliere di una delle banche coinvolte. In effetti, le quote partecipative del socio di maggioranza di Alitalia-Cai, a sua volta azionista al 51% di Alitalia-Sai sono già state pressoché azzerate da UniCredit (che ha il 32,6% del veicolo), Intesa (32%), Popolare di Sondrio (12,4%), Atlantia (7,6%) e Mps (3,1%); l’azzeramento del capitale, così, dovrebbe avere effetti pressoché indolori sul conto economico. E lo stesso vale per i crediti: Intesa Sanpaolo ha elevato a livelli di emergenza le coperture sui crediti verso Alitalia (circa 360 milioni di linee accordate e solo in parte “tirate”) e altrettanto ha fatto UniCredit, che sul dossier «ha perso mezzo miliardo», come ha denunciato a più riprese il ceo Jean Pierre Mustier. Morale: l’azzeramento dei crediti costerebbe in media al settore bancario 10 punti base di capitale, notavano ieri gli analisti di Equita Sim, per i quali l’esposizione del sistema sulla compagnia al momento si aggira intorno agli 1,6 miliardi. Non a caso, ieri a Piazza affari Intesa Sanpalo e UniCredit non hanno pagato il «no» dei lavoratori al referendum, chiudendo rispettivamente in rialzo del 2% e del 2,46%, più sensibili al vento che soffia da Parigi dopo la vittoria di Macron al primo turno delle presidenziali.
Diversamente è andata ad Atlantia (-2,56%), in questi giorni coinvolta anche nella complessa e sfidante partita su Abertis. Ieri sul titolo ha però inciso l’effetto-Alitalia, ed è un elemento che fa riflettere su quelli che - a livello di sistema finanziario e industriale - potrebbero essere i contraccolpi del commissariamento di Alitalia, con la fisiologica contrazione di voli, flussi turistici in ingresso, attività dell’indotto. Atlantia controlla infatti Aeroporti di Roma, che - si ragionava ieri sul mercato - pesa per il 15% sull’Ebitda di gruppo: a sua volta, però, Alitalia vale circa il 35% del traffico di Adr e il 31% delle revenues aviation, cioè circa 200 milioni; un probabile ridimensionamento dei voli della compagnia di bandiera dovuto all’amministrazione controllata impatterà significativamente, dunque, sulle prospettive di crescita della controllata di Atlantia, che al momento prevede una crescita media annua dell’Ebitda pari al 7%, per toccare i 650 milioni nel 2020.
Tornando alle banche, invece, Intesa e UniCredit ormai sono abituate a perdere i propri soldi con la compagnia. Il loro nome, che presto finirà nell’elenco dei creditori chirografari della nuova Alitalia, figura anche in quello della “vecchia” Alitalia, la bad bank tuttora commissariata e con una zavorra ancora pari a 4 miliardi di crediti, solo in (minima) parte destinati a essere rimborsati.
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