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Sud, allo studio soglia minima del 34% degli investimenti della Pa

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MEZZOGIORNO

Sud, allo studio soglia minima del 34% degli investimenti della Pa

Almeno il 34% degli investimenti ordinari da destinare al Sud. L’introduzione di questa quota minima potrebbe essere la conseguenza del decreto Mezzogiorno, convertito in legge lo scorso 27 febbraio. Entro il 30 giugno dovrà essere emanato il Dpcm (decreto della presidenza del consiglio) che definirà le modalità per il «riequilibrio territoriale» della spesa ordinaria in conto capitale. Si valuta di fissare per le amministrazioni centrali un minimo di spesa proporzionale alla popolazione delle otto regioni interessate: Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna. In base all’ultimo censimento Istat, l’asticella potrebbe essere dunque fissata al 34 per cento.

Molto, poco o il “giusto mezzo”? Per rispondere occorre una doppia riflessione,che verte sia sulle regole fissate a partire dalla fine degli anni ’90 e progressivamente disattese sia sulle stime dell’impatto che una modifica di questo tipo avrebbe sui conti pubblici.

I precedenti: target non rispettati
Nei Dpef (il vecchio documento di economia e finanza) successivi al ciclo di programmazione dei fondi strutturali 2000-2006 fu fissato un obiettivo pari al 30% delle risorse ordinarie in conto capitale e al 45% di quelle totali (includendo cioè fondi Ue e quello che oggi si chiama Fondo sviluppo e coesione). Dal Dpef 2009 l'obiettivo programmatico però fu cancellato, nonostante il vistoso allontanamento dai target: nel 2007 si era scesi al 35,3% di spesa totale e al 21,4% di spesa ordinaria. Non sono solo dati statistici. Di fatto è stata disattesa l’aggiuntività delle risorse della programmazione comunitaria, che hanno via via esercitato un ruolo di supplenza delle risorse ordinarie dello Stato.

Le stime di impatto della Svimez
In vista del varo del Dpcm, l’associazione Svimez ha fornito al ministero della Coesione territoriale uno studio d’impatto (firmato da Adriano Giannola e Stefano Prezioso). Secondo i calcoli, che sommano come base le spese di tutte le amministrazioni e non solo di quelle centrali oggetto della norma, se dal 2009 al 2015 fosse stata attivata la clausola del 34%, il Pil del Mezzogiorno avrebbe praticamente dimezzato la perdita accusata dal 2008 (-5,4% anziché -10,75). L’occupazione sarebbe calata del 2,8% invece del 6,8%, salvando 300mila dei 500mila posti di lavoro che sono invece sfumati.

È anche vero che una quota fissa, ipotizziamo al 34%, mentre aumenterebbe le risorse investite al Sud ridurrebbe quelle impiegate al Centro-Nord. Tuttavia in questo caso, secondo la Svimez, l’effetto depressivo sarebbe compensato dalla produzione e occupazione attivata nelle regioni del Centro-Nord per soddisfare una parte della domanda aggiuntiva che si mobiliterebbe al Sud. Effetto totale: saldo netto positivo per il Pil nazionale dello 0,2% e per l’occupazione di 185mila unità.

La norma del decreto Mezzogiorno specifica che l’obbligo di riequilibrio territoriale dovrà scattare a decorrere dalla prossima legge di bilancio. Si fa riferimento a un volume complessivo annuale di stanziamenti proporzionale alla popolazione, «o altro criterio appropriato di distribuzione», postilla quest’ultima che potrebbe riservare qualche sorpresa. Nei dettagli spesso si nasconde il diavolo.

Fondi Ue e Fsc devono essere «addizionali»
Ma il principio di fondo è stato comunque messo nero su bianco anche nella Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate allegata al Def, dove si legge che «andava scongiurata per il futuro la possibilità che alcune amministrazioni centrali, a causa della diminuzione della spesa aggregata in conto capitale, implicitamente adottassero un criterio di sostituzione nella allocazione della spesa ordinaria d’ora in avanti, e penalizzassero le regioni del Mezzogiorno».

Il Dpcm, da emanare su proposta del ministro dell’Economia, sentito il ministro per la Coesione territoriale, dovrà fissare anche le modalità per monitorare i flussi di spesa erogata e quindi il rispetto dell’obiettivo da parte delle amministrazioni interessate. Al ministro per la Coesione toccherà poi presentare ogni anno alle Camere una relazione sull’attuazione.

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