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Dalla piazza agli Usa, il doppio binario del M5S

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Dalla piazza agli Usa, il doppio binario del M5S

  • –Manuela Perrone

ROMA

Piazza e governo, “pancia” e accademia, blog e istituzioni. Il M5S prova a marciare verso Palazzo Chigi muovendosi sempre di più su un doppio binario: da un lato l’insistenza sui cavalli di battaglia, dal reddito di cittadinanza allo stop ai privilegi della casta; dall’altro l’accreditamento come forza affidabile presso i poteri che contano, mai tanto corteggiati. Dal Vaticano agli Stati Uniti.

Il viaggio di Luigi Di Maio negli Usa di Donald Trump - ieri a Harvard, oggi al Mit di Boston - accompagnato dalla coda polemica sui vaccini, con tanto di j’accuse del New York Times, è esemplare del corto circuito in corso. All’Ash Center di Harvard il vicepresidente della Camera ha raccontato l’«esperienza politica unica di democrazia diretta» rappresentata dal Movimento. Stando attento a marcare le differenze sia con i partiti tradizionali e i loro leader, a partire da Matteo Renzi («Anche i cosiddetti uomini nuovi hanno fallito! Promettendo tutto e il contrario e dicendo “noi porteremo l’Italia fuori dalla crisi”»), sia con gli altri movimenti etichettati come populisti «come Podemos, Syriza, Front National, Afd, Ukip ecc». «Per noi - ha detto Di Maio - questi partiti sono già vecchi perché sono intrisi da ideologie del passato». Alle quali il M5S sostiene di contrapporre «valori» , quelli «della democrazia, del rifiuto della guerra, dell’antirazzismo, contro ogni tipologia di malaffare e a favore della legalità».

Nella lezione alla prestigiosa università statunitense - bersagliato dalle critiche e dalle ironie dei dem per i suoi “incidenti” con i congiuntivi e con la grammatica - Di Maio ha confermato la linea morbida sull’Europa («Il M5S non è una forza politica contraria all’Ue, anzi ambisce a renderla un’unione di cittadini e non, com’è ora, di lobby e protezionismo») tenendo però fermo lo scetticismo verso la moneta unica: «Riteniamo imprescindibile avviare un dibattito sulla permanenza nell’euro». Ovvia la rivendicazione del programma “partecipato”, scritto con i cittadini, che sarà pronto a luglio (ieri è stato presentato il piano trasporti). E palese l’obiettivo: «In settembre eleggeremo il candidato premier e identificheremo i ministri che saranno presentati ai cittadini italiani prima delle elezioni politiche. Nel 2018, l’Italia potrebbe avere il primo governo fondato sulla democrazia diretta».

Che sia lo stesso Di Maio ad aspirare al ruolo di candidato primo ministro non è un mistero. Che Grillo e Casaleggio lo sostengano neanche. Quello americano è il terzo viaggio di peso che il deputato trentenne ha inanellato nell’ultimo anno, dopo Londra e Israele.

Ma la scalata al governo è lastricata di diffidenze. Il duro articolo del Nyt contro «le bugie, le teorie cospirative e le illusioni diffuse dai social media e dai politici populisti» sui vaccini, in cui Grillo è esplicitamente citato, la dice lunga sulle ruggini che il Movimento sta tentando di scrollarsi di dosso. Perché il comico genovese può tuonare quanto vuole, in perfetta sintonia con l’ostilità di Trump verso la stampa, contro quella che ritiene una «fake news». Ma non può cancellare con un colpo di spugna le ripetute prese di posizione, sue e di altri pentastellati, contro l’obbligatorietà delle vaccinazioni (una per tutte: sul blog nel 2015 il M5S Europa sosteneva l’esigenza di «sostituirla, al limite, con la raccomandazione di un esperto»). Così come non può far sparire la proposta di legge del 2013, poi ritirata, in cui il M5S richiamava gli studi sul collegamento tra autismo e vaccini, oggi ritenuti un «falso scientifico» .

Vero è, però, che quattro anni dopo i Cinque Stelle hanno arruolato l’immunologo marchigiano Guido Silvestri della Emory University per scrivere un documento che chiarisce una volta per tutte «la posizione scientifica assolutamente e inequivocabilmente pro-vaccini alla quale il M5S ha aderito al 100%». La presa di distanza dai no-vaxx è completa. La metamorfosi del Movimento quasi.

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