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Dem dalla parte di Gentiloni, ma i dubbi restano

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L'Analisi|l’analisi

Dem dalla parte di Gentiloni, ma i dubbi restano

  • – di Emilia Patta

Punto numero uno, il rapporto con il governo guidato dal renziano Paolo Gentiloni e composto da quasi tutti ministri che lo erano già nel governo Renzi. «Da cinque mesi diciamo con forza che nessuno del Pd ha messo o metterà in discussione il sostegno al governo guidato da Paolo Gentiloni, a cui va la nostra amicizia, la nostra stima e la nostra riconoscenza per il lavoro che svolge. Lo diremo per tutti i giorni fino alla fine della legislatura. Quanto alla durata della legislatura, non dipende da noi ma dal governo stesso e dal lavoro parlamentare».

Legge elettorale eterna querelle
Punto numero due, l'eterna querelle sulla legge elettorale. Da cambiare o almeno da uniformare, come sollecitato a più riprese dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, dopo che due distinte sentenze della Consulta hanno lasciato in piedi due sistemi diversi, entrambi a base proporzionale, per la Camera e per il Senato. «Con stima, riconoscenza, filiale amicizia e deferenza diciamo a Mattarella: la responsabilità di questo stallo sulla legge elettorale è di chi in Senato ha la maggioranza, non del Pd. La legge elettorale è un capitolo fondamentale per la tenuta democratica del Paese ma sul quale il Pd non farà da capro espiatorio: non ci facciamo prendere in giro dagli altri partiti. Non saremo il signor Malaussene di Pennac. Noi il governo del Paese lo assicuriamo, la proposta sulla legge elettorale la facciano gli altri. Quelli che hanno la maggioranza in commissione Affari costituzionali del Senato, che hanno bocciato la riforma costituzionale e che non vogliono il Mattarellum da noi proposto».

Il nodo delle future alleanze
Punto numero tre, le future alleanze. Tema sul quale continuano a insistere i rappresentanti della minoranza Andrea Orlando e Michele Emiliano immaginando la ricostruzione di un centrosinistra vecchio stile per ricongiungersi ai fuoriusciti Bersani e D'Alema. «L'alleanza la facciamo con i cittadini, con l'associazionismo, il terzo settore, i sindaci…».

La nuova stagione della vocazione maggioritaria dem
Elezioni anticipate, legge elettorale e alleanze erano appunto i temi politici che ci si aspettava che Matteo Renzi affrontasse nel suo primo discorso da segretario del Pd rieletto davanti ai delegati della nuova assemblea, e lui li ha affrontati liquidandoli a modo suo. Come temi utili al «chiacchiericcio degli addetti ai lavori». La sua rielezione alla guida del Pd comporta di per sé la riaffermazione del principio della vocazione maggioritaria impresso da Walter Veltroni nello statuto del partito undici anni fa. Nessuna ricostruzione di vecchie alleanze al centro e a sinistra: il Pd ha l'aspirazione di parlare all'intero Paese senza delegare il dialogo con una parte dell'elettorato al altri partiti. Complice anche il sistema elettorale attuale con il quale Renzi è convinto che si andrà a votare al più tardi il prossimo anno: il premio alla lista che superi il 40% previsto alla Camera permette al Pd, così come ai principali antagonisti del M5S, di condurre una campagna elettorale in solitaria con l'obiettivo pur sempre credibile di raggiungere l'agognata soglia. Soprattutto in un confronto che Renzi già immagina polarizzato («il populismo si sconfigge con il popolo») tra riformisti europeisti e partito anti-sistema.

L'alleanza impossibile con gli ex Pd
Quanto al Senato, è vero che il premio di maggioranza non è previsto (e Renzi sarebbe favorevole ad estenderlo, come pure propone il M5S), ma il sistema di soglie premia i partiti più grandi: 3% per chi si coalizza purché la coalizione superi nel suo complesso il 20% e 8% per chi corre da solo. Con questo schema di gioco e con gli scissionisti di Mdp che i sondaggi danno sotto il 3%, l'utilità delle alleanze per il Pd è difficile da dimostrare. Anche perché insistere sulla necessità di ricongiungersi a chi è appena uscito dal Pd sbattendo la porta, come sostengono Orlando ed Emilano, ha più il sapore di un argomento polemico che di una proposta politica realistica. Come ha avuto modo di ribadire Matteo Richetti, renziano critico che ha fatto da portavoce alla mozione Renzi-Martina durante il congresso, non è immaginabile un'alleanza con chi si è schierato contro le riforme al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso. «Un conto è Giuliano Pisapia, che al referendum ha votato sì, un conto sono Bersani e D'Alema».

Programma di legislatura ed eredità dei governi Pd
Resta il fatto che il rapporto del leader del Pd con il governo non è e non sarà semplice nei prossimi mesi. Una volta chiusasi la finestra elettorale estiva e nella obiettiva difficoltà di tornare alle urne in autunno - con la sessione di bilancio che inizia il 15 ottobre e deve terminare il 31 dicembre pena l'esercizio provvisorio - la prospettiva di un anno non è esaltante, dal punto di vista di Renzi. In un certo senso la vera traversata nel deserto comincia ora. Lontano dal «chiacchiericcio politico», Renzi girerà il Paese per ricostruire il Pd sui territori e per la lanciare il programma per la prossima legislatura. Ma quando si andrà alle elezioni è evidente che i cittadini chiederanno il conto delle decisioni prese dal governo Gentiloni, che arriva dopo i governi Letta e Renzi: tutti a guida Pd. Prendere le distanze insomma non è possibile né credibile, a cominciare dalle misure che comporranno la prossima legge di bilancio.

Il rapporto con la Ue dopo il voto in Francia e Germania
Il leader del Pd confida nella trattativa con Bruxelles (ricalcolo del Pil, deficit rivisto al rialzo) e nel nuovo clima che si instaurerà dopo l'insediamento di Emmanuel Macron all'Eliseo e dopo le elezioni tedesche del 24 settembre per poter puntare su politiche economiche più espansive. Ma è chiaro a tutti, anche al premier Gentiloni, che una manovra economica che si annuncia comunque rigorosa mal si concilia con le promesse da campagna elettorale. Da qui, anche, un certo tono di irriverenza nei confronti del Capo dello Stato usato da Renzi a proposito della legge elettorale: è noto che Mattarella ha subordinato, e non da oggi, la possibilità di sciogliere anticipatamente le Camere all'approvazione di una legge elettorale condivisa che uniformi i due sistemi esistenti di Camera e Senato. Ed è anche noto che le condizioni per questa condivisione in Parlamento al momento non si vedono. Da qui l'impasse, che Renzi non vuole ricaschi sulle sole spalle del Pd. Archiviato il confronto interno al Pd, su questo crinale passerà la vera battaglia politica delle prossime settimane.

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