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Dalla retribuzione alla sicurezza, così funziona lo «smart working»

Da Enel fino ad arrivare a Vodafone: ma anche diverse pmi. Lo “smart working”, è ormai un po' di anni, sta prendendo piede nelle aziende italiane. Parliamo di quella «modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato», che oggi con il via libera finale al Ddl su lavoro autonomo e agile conquista la sua prima regolamentazione nazionale. Finora il passaggio al “lavoro agile” è stato disciplinato in vario modo, a seconda dell'esigenza della singola impresa, di solito con un accordo aziendale. Ma non necessariamente, visto che attualmente è sufficiente anche una semplice pattuizione orale.

Primo passo, l'accordo scritto
Da domani, con l'entrata in vigore del Ddl, le cose cambieranno. Intanto, si chiarisce cosa vuol dire “smart working”: vale a dire (per differenziarlo dal mero telelavoro) quando la prestazione resa in modalità “agile” avviene in parte all'interno dei locali aziendali e in parte all'esterno, senza una postazione fissa, ed entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale (si potranno utilizzare gli strumenti tecnologici). In questo contesto, il primo passo è l'accordo scritto, con il quale il dipendente decide di passa in “smart”. L'accordo può arrivare sia a contratto di lavoro in corso che in fase di sua costituzione: nell'intesa andranno individuati anche i tempi di riposo e le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche. Ci si può comunque sempre ripensare: il passaggio al lavoro “agile”  infatti, secondo le nuove regole, è risolvibile unilateralmente da entrambe le parti, con preavviso. In tal caso, la prestazione di lavoro ritorna alle modalità di tempo e di luogo ordinarie.

La parità retributiva e normativa
L'idea del governo è sfruttare al meglio le opportunità di lavorare da remoto ormai consentite dalla tecnologia informatica portatile; per dare un aiuto, soprattutto, alle donne, le quali, anche per mancanza di adeguati servizi di welfare pubblico, rinunciano al lavoro più che in altri Paesi europei, pur di non allontanarsi fisicamente da casa e famiglia. Il lavoratore “agile”, è scritto poi espressamente nelle nuove disposizioni, ha diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all'articolo 51 del Dlgs 81 del 2015, nei confronti dei colleghi che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda. Secondo le prime interpretazione dei giuristi, riduzioni stipendiali sono ammesse. «Ma esclusivamente in caso di accordi che comportino riduzioni di orario di impiego - spiega il professor Maurizio Del Conte (Bocconi, Milano) - come per esempio, un eventuale passaggio da full time a part-time».

Le norme su salute e sicurezza
Il Ddl si sofferma poi sulle regole su salute e sicurezza: il datore di lavoro deve consegnare all'interessato, con cadenza almeno annuale, un'informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di impiego (viene richiamato poi l'integrale rispetto del diritto del lavoratore alla tutela contro infortuni e malattie professionali). Ma è proprio il richiamo tout court alle regole su salute e sicurezza (considerato che lo “smart working” fa venire meno, seppur in parte, il riferimento al luogo di lavoro) a preoccupare le aziende, con il rischio di andare incontro a una nuova responsabilità oggettiva (un nodo, questo, che il governo si è impegnato a chiarire).

Il raccordo tra nuove norme e intese già sottoscritte
Un'altra (possibile) criticità è il raccordo della nuova normativa (nazionale) con le intese (di secondo livello) già sottoscritte che hanno fatto partire in diverse aziende sperimentazioni di “smart working”. Bisognerà valutare caso per caso, sottolineano gli esperti. Certo, sarebbe stato opportuno prevedere un regime transitorio, ribattono le aziende. (Claudio Tucci)

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