Si sa a cosa hanno portato le cabine di regia del passato. A indebolire il Governo e accorciarne la vita oppure a mettere nel mirino un ministro ingombrante. Giulio Tremonti ne fu una vittima illustre ma pure l'Unione di Prodi e poi l'Esecutivo Monti e quello di Letta furono contaminati da questo artificio politico condito da parole come collegialità, “fase due” ma che – in effetti - preparava la crisi. Ieri c'è stata la prima riunione della cabina con la regia di Renzi che di collegiale aveva poco.
Il prototipo di cabina di regia, in tempi travagliati di Prima Repubblica, si chiamava consiglio di gabinetto, lo battezzò Bettino Craxi nel 1983 e ne facevano parte i ministri di peso, distribuiti tra Dc e laici. Ma la memoria riporta ai casi più recenti dei rissosi governi di centro-sinistra e di Berlusconi che nei momenti di più grave difficoltà hanno rispolverato quel luogo come risolutivo dei conflitti dove – invece – finivano per inasprirsi. Perché in qualunque momento e con un Esecutivo di ogni colore, istituire un luogo terzo tra Governo e Parlamento, ha portato a un commissariamento: di un premier, di un ministro, di un partito. Si evocava la parola collegialità, come ai tempi del Berlusconi 2001-2006 solo per innescare un braccio di ferro politico. Allora fu tra Fini e Tremonti e si concluse con le dimissioni di quest’ultimo nel 2004. E nel 2011, nuovo Governo Berlusconi sempre con Tremonti, ci fu una riedizione di quella cabina che aveva come “mission” lo sviluppo mentre l’Italia era già sotto l’attacco dei mercati. Durò poco.
E il centro-sinistra - nelle sue varie versioni del ’96 e poi del 2006 - adottò a più riprese l’escamotage della cabina di regia per compensare i più grandi divari tra partiti e poi tra cosiddetti riformisti e massimalisti senza grandi esiti vista la fine precoce dei due Esecutivi. Perfino il programma del Professore nel 2006 fu frutto di un lavoro di “regia” che sfornò 280 pagine dove si evitavano accuratamente i temi più divisivi come, per esempio, l’Alta velocità. Insomma, ogni volta doveva essere la sede della sintesi e ogni volta ha mancato i suoi obiettivi.
Erano tempi di alleanze deboli e di partiti più forti (di oggi) e dunque bastava evocare la parola “collegialità” per dare un vestito più nobile a una pura operazione di logoramento. Ma anche nel 2011 quando arriva Mario Monti e il disarmo delle forze politiche si vede, dopo una breve luna di miele, il premier-tecnico viene risucchiato dagli stessi meccanismi. I leader – Bersani Alfano Casini – chiesero una maggiore “centralità” politica che però ritrovarono sconfessando quegli anni. L’ultimo esempio risale al Governo Letta, è lui stesso che nel mezzo dei conflitti tra Pdl e Pd su taglio dell’Imu e Iva istituisce una cabina di regia con Franceschini. Servirà a poco visto che dopo qualche mese arriva Renzi e lui deve passare la campanella.
Ora - anche se spesso non sembra - questo Governo è frutto di una coalizione ma la cabina di regia di ieri è diversa da tutte le altre. La riunione si è tenuta al Nazareno, sede del Pd, e non a Palazzo Chigi o in un luogo terzo. Hanno partecipato solo componenti del Pd, il ministro Martina il sottosegretario Boschi e i due capigruppo – peraltro - tutti della maggioranza renziana, tranne Anna Finocchiaro che al congresso ha votato per Orlando. E dunque più che una cabina sembra una regia e basta. Un posto di comando per pilotare e coordinare – in prima persona – il Governo con i gruppi parlamentari. Più che la collegialità mette in gioco la centralità del segretario Pd per muovere i fili della legislatura, dettarne i tempi, tenere sotto pressione i ministri. Se formalmente il paragone con le altre cabine è vaga, nella sostanza la somiglianza è molto vicina. Avrà gli stessi esiti? Ieri si sono discussi i provvedimenti in agenda ma a settembre deciderà anche della legge di stabilità. E con quale ruolo di Padoan e Gentiloni? Sempre che non accada di andare al voto prima.
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