Analizzare e comprendere l’evoluzione delle catene distributive (supply-chain) è fondamentale per le piccole e medie imprese per identificare i prossimi passi necessari per rimanere competitive, in particolare per le Pmi dell’industria meccanica e dell’automazione, che sono quelle più interessate al fenomeno Industry 4.0. Le supply-chain della quarta era industriale sono governate da macroaziende che giocano il ruolo di pivot nei confronti di tutte le altre collegate: dettano le regole del gioco e stabiliscono i livelli di performance che devono essere garantiti. Le tecnologie digitali adottate ormai estensivamente dalle aziende pivot stanno elevando le performance richieste a livelli irraggiungibili da Pmi che non decidano di evolvere. L’integrazione nella supply-chain è in diversi casi realtà consolidata: da vecchi schemi in cui ciascun pezzo della catena vedeva la domanda come la richiesta dell’azienda a valle nella filiera, a modelli Industry 4.0, in cui una torre di controllo governa e guida la pianificazione di tutti i componenti della filiera, riducendo drasticamente i livelli di stock complessivo, i tempi di consegna al cliente finale e aumentando il livello di servizio (puntualità e qualità). In una simile situazione, non più quindi così tanto prospettica, un’azienda che non dovesse adeguarsi a questi standard verrebbe velocemente esclusa dal gioco, anche a dispetto di una lunga storia di successi nel produrre con cura artigianale componenti di elevata qualità.
Ma vediamo cosa sta accadendo in Germania, considerato il Paese più avanzato nell’utilizzo delle tecnologie digitali nei settori industriali e, allo stesso tempo, sede delle principali aziende pivot per le nostre Pmi. PwC ha appena pubblicato i risultati di un’indagine (Digital Factories 2020) condotta nell’industria tedesca tra gennaio e febbraio 2017 intervistando 200 top manager di aziende industriali leader nei rispettivi settori. I principali fatti rilevati ci dicono che in Germania 9 aziende industriali su 10 stanno investendo sulla digital factory e ben 5 impianti su 10 sono già oggi parzialmente o completamente integrati e digitalizzati; il primo obiettivo degli investimenti Industry 4.0 è l’Efficienza; altro elemento fondamentale rilevato è la tendenza ad accrescere la capacità produttiva nel proprio Paese (reshoring); il 77% degli investimenti nelle fabbriche digitali è concentrato nell’Europa occidentale; la tecnologia che suscita il più elevato interesse nelle fabbriche digitali è quella del digital twin, ovvero del gemello digitale, che può simulare e prevedere il funzionamento di un’intera fabbrica, di un sottoprocesso produttivo o di un prodotto. Un punto molto interessante riguarda le aspettative sull’occupazione: il 56% delle aziende tedesche ritiene che Industry 4.0 non genererà una diminuzione dei posti di lavoro (il 16% si attende addirittura un incremento). Il livello medio delle competenze e della scolarità dei giovani assunti è in netta ascesa (dal 19% al 24% in cinque anni la percentuale di operai con scolarità superiore; 59% la porzione di operai che si specializzano con corsi interni all’azienda) e, secondo le previsioni, il maggior costo del personale sarà ampiamente assorbito dagli aumenti dei livelli di efficienza.
E le industrie italiane come si stanno muovendo? Il punto di partenza, se si escludono le aziende pivot nazionali che, come tutte le grandi multinazionali si stanno muovendo già da qualche anno, è preoccupante. Tre dati su tutti: l’età media degli asset produttivi è la più elevata in Europa (quasi 13 anni contro una media europea inferiore ai 6 anni); la percentuale dei laureati è del 26%, dai 10 ai 15 punti inferiore a quella dei Paesi nord europei; il grado di connettività dell’Italia in Europa supera solo quello della Croazia. In questo contesto sfavorevole gioca un ruolo determinante la scelta del nostro Governo di mettere a disposizione delle industrie un piano di incentivi fiscali (iper e super-ammortamento) per gli asset Industry 4.0. I principali ostacoli allo sviluppo delle Pmi rimangono l’accesso al credito per finanziare gli investimenti, i livelli di redditività e la propensione al rischio degli imprenditori.
In questo quadro complesso le Pmi italiane devono trovare una propria via per approcciare il modello della fabbrica digitale. Un po’ come fecero le aziende giapponesi nel dopoguerra è necessario fare molto con poco e finanziare i passi successivi con i risultati ottenuti strada facendo. Per fare ciò serve grande capacità di lavorare sull’organizzazione e sulla standardizzazione del lavoro, tanta attenzione ai dettagli e capacità di lavorare in squadra, in modo trasversale e differente dai tradizionali modelli organizzativi funzionali. La ricetta italiana di Industry 4.0 potrebbe essere questa: approccio sistematico al miglioramento dell’efficienza supportato da misure oggettive del lavoro e della fatica (ergonomia), un modello organizzativo partecipativo (produttività dal basso), attenzione alla formazione e alla tecnologia, apertura ai giovani talenti digitali, tanta determinazione manageriale e, assolutamente essenziale, un buon piano di trasformazione Industry 4.0.
L’autore è Partner Operations e Industry 4.0 Leader di PwC Advisory
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