Saranno il codice disciplinare e le nuove regole dei concorsi a far debuttare sul piano operativo la riforma del pubblico impiego, approvato definitivamente in Consiglio dei ministri insieme al decreto che rivede per l’ennesima volta il sistema dei “premi di produttività” degli statali. Subito in vigore, passati i 15 giorni canonici dalla pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale», anche i parametri che allungano i tempi dei recuperi per il salario accessorio riconosciuto negli anni scorsi a chi lavora in Regioni ed enti locali e poi giudicato illegittimo dalla Corte dei conti dopo le ispezioni della Ragioneria generale.
Alle amministrazioni che devono recuperare a carico dei fondi di questi anni i soldi di troppo erogati in passato saranno date due possibilità alternative per allungare i recuperi oltre il triennio contrattuale ordinario: spalmare le rate per il periodo sufficiente a evitare tagli superiori al 25% del fondo che finanzia le voci accessorie dello stipendio, oppure optare per il tempo supplementare fisso da cinque anni.
Dal 1° settembre, invece, tornerà all’Inps il compito di guidare le visite fiscali, con una nuova convenzione e un decreto che dovrebbe allineare gli orari di reperibilità nel pubblico e nel privato, mentre dal 1° gennaio tramonteranno le co.co.co continuative anche nella Pa e partirà il piano per la stabilizzazione dei precari : il testo definitivo darà la chance del posto fisso a chi abbia lavorato almeno tre anni negli ultimi otto in qualsiasi ente, e non solo in quello che bandisce il concorso come previsto nel decreto approvato in prima lettura, e permetterà di raggiungere il requisito entro fine anno.
Quello di Palazzo Chigi oggi è il via libera definitivo a uno degli snodi cruciali della riforma Madia, chiamato fra l’altro a far ripartire i contratti dopo otto anni di blocco. A differenza di quanto accaduto ad altri provvedimenti, non servirà un terzo passaggio in Parlamento perché il testo definitivo accoglie i contenuti dell’intesa con gli enti territoriali e le «condizioni» poste da Camera e Senato.
Il calendario dell’applicazione sarà però a tappe. Ad aprire le danze sarà il nuovo codice disciplinare, che fra gli altri aspetti amplia, portandoli da sei a dieci, i casi che possono portare alla sanzione massima del licenziamento. Accanto alle classiche false timbrature, assenze ingiustificate, false dichiarazioni per ottenere posti o promozioni e così via, le nuove regole impongono l’addio a chi viola in modo «grave e reiterato» i codici di comportamento, mostra uno «scarso rendimento» a causa di reiterate violazioni degli obblighi per le quali è già stato sanzionato, oppure va incontro a «costanti valutazioni negative». Proprio qui arriva una delle novità dell’ultimo testo, perché la sua versione definitiva spiegherà che per determinare il licenziamento la valutazione negativa dovrà ripetersi per tutti e tre gli anni coperti da ogni contrattazione.
Nella pratica, si distinguerà fra le «bocciature» ai fini economici, basate su parametri affidati alla contrattazione, e quelle ai fini disciplinari, che saranno determinate dai sistemi di valutazione. Subito in vigore anche il licenziamento per i dirigenti che con dolo o colpa grave evitano di attivare e concludere i procedimenti disciplinari. Alle procedure che si avvieranno dopo l’entrata in vigore della riforma si applicherà l’articolo 18 ritoccato dal decreto, che limita a 24 mensilità l’indennizzo se il giudice decide il reintegro.
Tre le novità per i concorsi: l’obbligo di prevedere la conoscenza dell’inglese (e di eventuali lingue aggiuntive), la valutazione del titolo di dottore di ricerca (che può diventare obbligatorio per profili specifici) e il tetto, al 20% dei posti messi a bando, per la possibilità di indicare «idonei» da chiamare quando il vincitore rinuncia.
Tra i compiti principali dei decreti su pubblico impiego e valutazione dei dipendenti c’è quello di creare le condizioni per riaprire le trattative sui contratti. E infatti la mossa successiva, attesa a stretto giro, sarà l’atto di indirizzo che la ministra della Pa Marianna Madia invierà all’Aran con le istruzioni per le trattative: tra queste, la “piramide rovesciata” che chiederà di riconoscere aumenti più generosi alle fasce di reddito più basse, e lo spazio aggiuntivo dato alla contrattazione decentrata.
La mossa centrale è lo smontaggio delle griglie rigide della riforma Brunetta, mai applicate, che avrebbero imposto di azzerare i premi al 25% del personale. Alla base del nuovo tentativo c’è un cambio di orizzonte: la «performance» da valutare per prima sarà quella degli uffici, in termini di servizi resi, e non quella individuale, e toccherà alla contrattazione decentrata definire parametri e obiettivi. Ai premi andrà destinata la «quota prevalente» delle parti variabili del fondo accessorio, in modo da non prosciugare le risorse destinate alle voci come turni e straordinario.
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