Italia

Cinque anni dopo, l’Emilia rinasce più forte dalle macerie del…

  • Abbonati
  • Accedi
reportage

Cinque anni dopo, l’Emilia rinasce più forte dalle macerie del sisma

(Ap)
(Ap)

Mirandola - Ora ci sono le roulotte dei giostrai, dove prima sorgevano le casette dei terremotati. Ora, cinque anni dopo il terremoto in Emilia, che uccise 28 persone e ne lasciò 45mila senza casa, nessuno più vive nei moduli abitativi provvisori. Qui, a Mirandola, come in tutta la bassa modenese. Che è tornata a produrre come e più di prima di quel maggio 2012, ma resta ancora ferita nei suoi centri più simbolici.
“Ritardi ci sono, ma va abbastanza bene, dai”, ammette Maurizio, mentre apre un circolo per anziani. Davanti, le gru svettano sui mattoni rossi. E al posto del silenzio, c'è il rombo dei martelli pneumatici a far da colonna sonora del centro storico.

Qui, come a Cavezzo, Concordia, Finale Emilia e Sant' Agostino, dove si cammina però ancora tra chiese sventrate, municipi puntellati e teatri sbarrati. Più di cinquemila, calcola la Regione, sono i cantieri già completati. E 17.700 le famiglie già rientrate nelle loro case. Nove su dieci. Famiglie, che comunque non si sono mai del tutto allontanate da questa terra di pievi e capannoni, anche grazie alla riapertura - da subito - delle scuole. 417 quelle restaurate; 118 quelle costruite ex novo.
Scuole - “Non si è mai mollato. Prima nelle tensostrutture, poi in costruzioni particolari, per cercare di ritornare il più presto possibile nei nostri edifici”, raccontano due educatori della scuola elementare “Iqbal Mash” di Medolla, intitolata ad un bimbo pakistano, ucciso- recita la targa- “perché non voleva più essere schiavo”. E in una scuola fa tappa il capo dello Stato, Sergio Mattarella, il 29 maggio, anniversario della seconda e più drammatica scossa. Che fece crollare – tanto sui padroni, quanto sui dipendenti - i capannoni, dell'area che produce il 2% del Pil nazionale.

Puntare subito su lavoro e scuole ha permesso alla comunità dei novi comuni del Nord della provincia di Modena, cuore del cratere, di continuare a ritrovarsi. Ed è stata questa - secondo Luca Prandini, primo cittadino di Concordia, che li rappresenta – “la carta vincente di una ricostruzione in gran parte riuscita, anche se sono ancora più di mille le famiglie che vivono in affitto o da amici”. Non vuol parlare di modello Emilia, quanto piuttosto “della forza degli emiliani e del loro radicamento al territorio”.
Centri Storici - Se la scelta regionale di procedere con ordinanze ha semplificato l'avvio dei lavori nei cantieri più semplici, ora restano gli edifici più danneggiati e soprattutto i centri storici. Con l'orologio di Finale Emilia, tornato a scandire il tempo da una struttura metallica, in attesa della ricostruzione della torre medievale; e la teoria un po' ovunque di chiese distrutte, che ancora commuove un'anziana in bicicletta a Mirandola. Qua e là, i negozi stanno riaprendo. Mano mano che i cantieri avanzano. Ma non sono pochi quelli che ormai si sono trasferiti altrove. “Ci sono stati giorni in cui avevamo solo un coperto”, ricorda Maurizio, della trattoria Da Pico, secondo cui “è stato come uscire dal carcere, la liberazione dell'impalcatura”. E anche se l'odore dello gnocco fritto è tornato nel suo ristorante, da lui sono tornate anche le bollette per il pagamento delle utenze, solo sospese dopo il terremoto. “In molti abbiamo dovuto fare i debiti per pagarle”. Non c'è lamentela, però, nel suo racconto. Come non c'è in quello di Giuseppe, fedele ascoltatore di Radio24, che si chiede solo perché “cinque anni dopo, il suo progetto per la ricostruzione della casa a Cavezzo ancora non possa partire, mentre sono stati spesi migliaia di euro – denuncia – per rifare enormi strutture agricole che nessuno più riutilizzerà”.

I crolli dei capannoni - La ricostruzione privata e quella imprenditoriale corre su binari e a velocità diverse. Prima delle chiese e delle case, in Emilia hanno ricostruito infatti i capannoni, distrutti in quel maggio di scosse continue e lutti. Ma la parola d'ordine collettiva fu “tenere botta”. Rimboccarsi le maniche. E ripartire. Tutti insieme. “Uno dei nostri ragazzi si è fatto tatuare la data del 29 maggio insieme ad una chiave da metalmeccanico”, racconta Paola Busoli, figlia di uno dei soci e direttore marketing della Bbg, azienda del biomedicale. Neppure i lutti, i sequestri e le inchieste hanno spezzato “lo spirito di matrimonio verso l'azienda, del quale noi andiamo molto fieri”, racconta. E come in ogni matrimonio, insieme sia nella buona che nella cattiva sorte, sono sempre stati titolari e dipendenti della Bbg. Ora che si tagliano i nastri della nuova sede costata 5 milioni, come in quel drammatico 29 maggio 2012, quando il crollo del tetto uccise uno dei fondatori e due dipendenti, uccisi dalla volontà di tornare subito a lavoro. E da perizie che, come ricorda Busoli, davano il via libera dopo le prime scosse.

Ma le inchieste, come per il crollo della Haemotronic, dove le vittime furono quattro, si sono concluse con archiviazioni. “In sostanza, i capannoni erano stati costruiti secondo le regole dell'epoca, che non consideravano però quella un'area a rischio sismico”, sintetizza ora Vito Zincani, che da procuratore di Modena coordinò le inchieste. “Resta il tema che il modo in cui si costruisce in Italia non è ad altissimo livello. Con accorgimenti semplici che legassero le varie componenti, i capannoni avrebbero potuto resistere”.
Le aziende - Di sicuro, non solo hanno retto, ma ora producono come e più di prima le aziende della bassa, dove lo schock del terremoto si è tradotto in forti investimenti in innovazione. A cominciare dalla stessa Rb, controllata di Bbg, che ora- “unica in Italia”, si inorgoglisce il direttore generale Stefano Foschieri - utilizza una speciale stampante in 3D, con tempi ciclo di produzione da 2,2 secondi. Prima, lui era in Euroset, altra azienda crollata. E altra azienda che oggi ha confermato e rafforzato il suo fatturato e le relazioni con l'estero. “Oggi visitando le nostre aree industriali- commenta- vediamo fabbriche nuove e più grandi”. Da cui, i talenti non fuggono, ma anzi arrivano da tutta Italia. Un distretto capace anche di progettare una fiera dell'innovazione, InnovaBiomed, per gennaio 2018. “Perché abbiamo capito che è questa – spiega uno dei promotori, Alberto Nicolini – la ragione della nostra forza”.

E per paradosso, proprio il terremoto ha riportato in un certo senso a casa, a Finale Emilia un marchio storico, come la Casoni, sinonimo da due secoli di liquori. “Era nel gruppo Campari che l'aveva rilevata da Averna e aveva rimesso sul mercato lo stabilimento. La situazione era di incertezza per il futuro”, ripercorre Paolo Molinari. L'azienda era della sua famiglia e “se non ci fosse stato il terremoto, questa follia – ammette, insieme al socio Pier Giorgio Pola - non sarebbe stata possibile, perché ha dato a noi la spinta per rimetterci in gioco, fare qualcosa anche per il territorio”. Entrato fin dentro le bottiglie.
Legati alla loro terra, ma capaci di guardare oltre l'orizzonte. Così sono gli abitanti della Bassa. Perché “non possiamo mica lamentarci”, chiosa su una panchina di piazza Costituente a Mirandola un anziano, uscito da pochi mesi da map. Poco più in là, sulle grate delle impalcature, accanto al pannello che ricorda la storia di Umbertina Smerieri, staffetta partigiana, qualcuno esorta i terremotati del centro Italia “a tenere botta”. Qui, nonostante tutto, sanno di essere stati anche fortunati.

© Riproduzione riservata