Economia

Dossier Effetto «made in» e servizio al cliente motivazioni che portano al…

  • Abbonati
  • Accedi
    Dossier | N. 3 articoliRapporto Emilia-Romagna

    Effetto «made in» e servizio al cliente motivazioni che portano al reshoring

    Che cos’è, oggigiorno, un’economia “aperta”? E può essere così definita l’Emilia-Romagna, una delle oltre 260 “Regioni dell’Unione europea”? Se un’economia aperta è, in prima battuta, un’economia che commercia in beni e servizi con altre Regioni dell’Ue e con altri Paesi extra-europei, ebbene sì, quella emiliano-romagnola è un’economia che mostra un elevato grado di apertura. Il rapporto fra importazioni più esportazioni e Pil è superiore al 60% (la media italiana è sotto il 50%). Di più: l’Emilia-Romagna è la regione che vanta il record nazionale nelle esportazioni pro-capite (mediamente circa 12.500 euro per abitante, secondo i dati di Prometeia).

    Ma gli eccellenti risultati nell’interscambio commerciale non raccontano tutta la storia, giacché – come scrive Elhanan Helpman nel suo Understanding Global Trade (Harvard University Press 2011) - sono molti e in evoluzione «i canali attraverso i quali i Paesi influenzano reciprocamente le loro economie». I flussi di Investimenti diretti esteri (Ide) e la creazione di Catene globali del valore (Gvc) vanno certamente annoverati fra questi canali. Anche sotto questo aspetto l’Emilia-Romagna è una economia aperta.

    Da alcuni anni, poi, assistiamo a un altro fenomeno: la “rilocalizzazione produttiva” (il cosiddetto reshoring), oggi assai diffusa in tutto l’Occidente industrializzato. L’Emilia-Romagna, anche sotto questo profilo, rappresenta un caso interessante. Grazie a una ricerca condotta - in collaborazione con l’assessorato alle Attività produttive della Regione Emilia-Romagna - dai quattro Atenei regionali, con i colleghi Paolo Barbieri (Università di Bologna), Giorgio Prodi (Università di Ferrara), Matteo Vignoli (Università di Modena e Reggio Emilia) e con l’assistenza di Giuseppina Tomasello (Università di Bologna) e Federico Frattini (Università di Ferrara) abbiamo cercato di gettare luce su questo fenomeno, che pur non essendo ancora un “trend di massa” è destinato a incidere sulla struttura industriale regionale negli anni a venire.

    Sono quattro i casi aziendali da noi esaminati riguardanti il territorio della regione: Argo Tractors (macchine agricole), Beghelli (prodotti per l’illuminazione), Giesse (accessori per serramenti) e Wayel (bici elettriche); operazioni, dunque, di rimpatrio di attività in precedenza basate in Paesi emergenti quali Cina e Brasile, ma anche in altri Paesi quali Regno Unito, Francia, Spagna. Non sono naturalmente le uniche. La banca dati Uni-CLUB MoRe Back-reshoring (2015) ha censito 21 decisioni per l’Emilia-Romagna(121 in tutt’Italia), con la fabbricazione di macchinari e apparecchiature quale settore industriale maggiormente interessato.

    Per i quattro casi da noi esaminati, è soprattutto l’analisi delle motivazioni che aiuta a comprendere la portata del fenomeno, trattandosi di una regione che, a somiglianza dei grandi Länder tedeschi, ha saputo conservare, anche dopo il crollo dei “castelli di carta” nel 2008, una robusta base manifatturiera. Non accidentalmente, le due motivazioni più citate sono l’”effetto made in” e il “miglioramento del servizio al cliente”: nel primo caso si fa riferimento alla qualità del Made in Italy; nel secondo a una sempre più stretta prossimità col cliente. Importanti sono altresì le considerazioni sui costi (quelli di produzione sono diventati elevati in Cina) e sui rischi (quelli associati alla fornitura di materie prime/energia e ai trasporti via mare).

    Ripercorrendo brevemente i case-study esaminati, notiamo in tutt’e quattro lo sforzo di (ri)avvicinare le attività di R&S con quelle più strettamente produttive, creando quell’osmosi fra idee, ricerca e saper fare che caratterizza tanti distretti e poli produttivi del modello emiliano. Anche il ruolo fondamentale della “filiera produttiva” è tra le motivazioni più spesso citate e può spiegare un’altra operazione meritevole di menzione, che è quella realizzata dal Gruppo bolognese Ima (macchine automatiche per il packaging) con l’ingresso nel capitale di 9 dei suoi subfornitori locali, ora impegnati in lavorazioni in precedenza delocalizzate.

    Dal reshoring al più generale concetto di attrattività di un territorio il passo è breve. Nell’aprile scorso è stata pubblicata la graduatoria del primo bando della Legge regionale per la promozione degli investimenti (L.R. 14/2014): fra i 14 nuovi investimenti finanziati ne troviamo molti riconducibili a multinazionali operanti a Bologna e dintorni nell’automotive, nella meccanica, nel biomedicale ecc. che così rafforzano i loro Investimenti diretti esteri (Ide in entrata). Nel contempo, le imprese emiliano-romagnole hanno saputo condurre in porto importanti fusioni e acquisizioni all’estero (Ide in uscita), con la Germania fra le destinazioni principali. In un’economia globale in cui la concorrenza è severissima, il gioco di squadra fra imprese, istituzioni e mondo dell’università e della ricerca è l’unica strategia possibile.

    L’autore è Professore Jean Monnet di Economia Industriale,
    Università di Parma

    © Riproduzione riservata