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Dossier La locomotiva è uscita dal tunnel

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    Dossier | N. 3 articoliRapporto Emilia-Romagna

    La locomotiva è uscita dal tunnel

    Anche le ultime remore si sono dissolte, dopo il rafforzarsi degli indicatori congiunturali nel primo trimestre dell’anno, ed è unanime ormai la convinzione di economisti, imprenditori e istituzioni che l’Emilia-Romagna abbia stazza e dinamismo per essere nei prossimi anni elemento trainante per la crescita del Paese, perché uscita definitivamente dalla crisi più lunga dell’ultimo secolo con la struttura ideale per cogliere le sfide dell’era 4.0: un tessuto imprenditoriale flessibile, organizzato in filiere e con solide radici autoctone, presente in settori manifatturieri oggi vincenti sui mercati globalizzati (food, motori, fashion), specializzato in produzioni personalizzate a misura del cliente (driver della rivoluzione digitale) e immerso in una comunità territoriale che ha nel Dna la coesione sociale e la collaborazione pubblico-privato.

    I numeri parlano chiaro: il Pil della regione cresce e crescerà - previsioni Prometeia - di quasi mezzo punto sopra la media nazionale (+1,4% nel 2016); la produzione industriale è aumentata dell’1,5% lo scorso anno e si stima un rafforzamento ulteriore per il 2017 alla luce dell’exploit dei distretti tecnologici concentrati sulla via Emilia (i dati regionali sono in linea con quelli nazionali, che nel primo trimestre 2017 vanno dal +11,6% di giro d’affari degli impianti per il packaging al +60,6% del fatturato Italia delle macchine per la ceramica, grazie anche alla spinta dell’iperammortamento); l’export ha segnato nel periodo gennaio-marzo un aumento dell’8,9% anno su anno (+1,5% nel 2016, dato comunque superiore al trend nazionale) con una corsa a doppia cifra oltreconfine per metalmeccanica, pharma, chimica, plastica; l’occupazione ha infilato un +2,5% lo scorso anno e un +2,4% nel primo quarto del 2017 e il mercato del lavoro emiliano-romagnolo è arrivato al livello record trentino, con un tasso di occupazione del 68,3 per cento.

    In questo scenario si inserisce la nuova scommessa dell’ecosistema regionale sui big data, per trasformare la via Emilia nella principale infrastruttura digitale in Europa, binario su cui far correre l’Industria 4.0. A Bologna tra il Cineca - il cervellone hi-tech più potente in Europa, 12° al mondo - e gli altri laboratori di Cnr, Enea, Ifnf, Rete Alta tecnologia già gravita il 70% della capacità di calcolo del Paese e una squadra di quasi 2mila ricercatori. In cantiere c’è ora la costruzione del supercomputer a servizio del centro europeo per le previsioni meteo (l’Ecmwf di Reading, in Gran Bretagna): un gigantesco data center dentro l’ex Manifattura Tabacchi, che avrà enormi ricadute scientifiche, industriali e occupazionali, se si considera che per ogni euro investito in meteorologia si calcola un ritorno di 5 euro sul territorio. Il sistema formativo locale si è già messo in marcia all’unisono, attivando un PhD in Data Science and computation (Università di Bologna e Fondazione Golinelli) e tre master dentro la Business school dell’Alma Mater mirati all’Industria 4.0 in Data Science, Mechanics & Automation e Digital Business.

    La grande forza della regione è infatti la capacità di muoversi rapidamente come sistema compatto di forze istituzionali, economiche e sociali. Che si tratti di tavoli di crisi - non è tutto rose e fiori tra Piacenza e Rimini - o di strategie pionieristiche messe in pista dalla Giunta guidata da Stefano Bonaccini: dal Patto per il lavoro siglato a inizio legislatura due anni fa (stella polare di tutte le politiche pubbliche per riportare la disoccupazione a un fisiologico 4,5% entro il 2020) alla legge per l’attrazione di investimenti e a quella sul reddito di solidarietà firmate nel 2016, fino all’imminente testo di urbanistica che introdurrà il consumo a saldo zero del suolo. «Abbiamo azzeccato gli assi portanti per una crescita sostenibile e inclusiva e stiamo facendo le cose con grande velocità e condivisione e questo toglie molti alibi ai nostri interlocutori», afferma il presidente della Regione. Gli assi portanti sono tre: il manifatturiero, forte di eccellenze mondiali nella meccanica, nella meccatronica, nella motoristica e nel food; cultura, saperi e ricerca, «perché possiamo competere coi territori più avanzati del mondo solo se puntiamo sulla qualità di ciò che progettiamo e produciamo e del capitale umano che lo fa», precisa Bonaccini; e il turismo, settore in cui l’Emilia-Romagna sta tornando agli anni boom con i 50 milioni di presenze.

    Ma il macchinista della locomotiva Emilia-Romagna nel viaggio tra digitale e robotica è sempre e comunque l’industria, che ha abbracciato la strategia regionale sui big data, «perché sviluppa infrastrutture, attrae competenze e investimenti e costruisce un ecosistema di eccellenza internazionale in grado di accelerare le dinamiche di crescita», sottolinea Maurizio Marchesini, numero uno degli industriali in regione. Confindustria Emilia-Romagna ha messo come benzina per questo viaggio un piano, battezzato “Verso industria 4.0”, di accompagnamento delle aziende lungo tre direttrici (digitalizzazione, internazionalizzazione ed economia circolare) e la realizzazione di una rete regionale di DIH-Digital innovation hub di alto livello, da integrare con i centri della ricerca pubblica e il sistema educativo superiore. «La sfida 4.0 che dobbiamo e vogliamo cogliere è innanzitutto culturale e ha il suo driver nella formazione, perché è nelle scuole che ci giochiamo il nostro futuro. Dobbiamo poi lavorare sulla contaminazione a valle di tutte le Pmi della filiera che solo ora si stanno affacciando alla rivoluzione 4.0. Proprio per questo ribadiamo che gli incentivi del Governo vanno prorogati per almeno un altro anno».

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