La vicenda della Banca popolare di Vicenza e di Veneto Banca è alquanto complessa, oltre che controversa. C’è chi parla di liquidazione e chi di salvataggio, dopo le scelte di Roma e Bruxelles nell’ultimo fine settimana. Qui di seguito alcune spiegazioni fattuali.
Perché si è arrivati alla liquidazione secondo la legge italiana?
Dopo mesi in cui il governo italiano ha tentato di trovare senza successo un partner per le due banche venete, la Banca centrale europea ha annunciato venerdì che i due istituti erano falliti o sulla via del fallimento. Il Sistema unico di risoluzione bancaria (Srb) ha poi considerato che né la BpV né Veneto Banca erano entità di interesse pubblico europeo. Ai sensi delle regole europee, il dossier è quindi passato sotto l’egida della legislazione nazionale.
Quali le differenze tra il Banco Popular e le due banche venete?
La vicenda del Banco Popular, acquistato a inizio mese da Santander senza esborso pubblico, è stata considerata dall’SRB di interesse pubblico, a differenza delle due banche venete. Uno dei motivi è la taglia del BP, assai più importante dei due istituti italiani, in un mercato peraltro più piccolo. Mentre la vicenda spagnola è stata trattata secondo le regole della direttiva Brrd con una risoluzione della banca, il caso italiano è caduto nell’ambito della legislazione nazionale, che regola la liquidazione coatta.
Chi sarebbe stato colpito nel caso di risoluzione, secondo la Brrd?
Si tratta del bail-in, secondo l’espressione inglese. Vengono colpiti nell’ordine gli azionisti, gli obbligazionisti non privilegiati, gli obbligazionisti privilegiati, e i depositanti sopra ai 100mila euro. Come minimo l’8% del totale delle passività.
Chi viene colpito nel caso di liquidazione coatta?
Gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati, secondo la legislazione comunitaria, che lascia al governo nazionale decidere se colpire anche gli obbligazionisti privilegiati. Roma ha deciso di proteggerli. Lo stesso è avvenuto per i depositanti.
Cosa sarebbe successo senza l’aiuto pubblico?
Dopo gli annunci della Bce e dell’Srb di venerdì, le due banche ieri non avrebbero potuto aprire gli sportelli. I depositi sarebbero stati congelati; e i prestiti pure.
A cosa servono i 5,2 miliardi di euro promessi dal governo?
L’iniezione di denaro pubblico, autorizzata da Bruxelles, deve servire a 1) evitare contraccolpi finanziari all’economia veneta; 2) prevenire un impatto negativo sul capitale di Intesa Sanpaolo (3,5 miliardi di euro); e 3) facilitare l’integrazione delle due banche venete nell’istituto milanese, finanziando gli esuberi e la chiusura di filiali. Secondo l’accordo con la Commissione, la forza lavoro dovrà essere ridotta del 40%, mentre il numero di filiali dovrà diminuire del 60%.
E i 12 miliardi di euro di garanzie pubbliche?
Intesa Sanpaolo acquista solo gli attivi di buona qualità. I crediti inesigibili e altre passività saranno versati in un fondo di liquidazione. Questo dovrà continuare a essere finanziato. Alla luce delle difficoltà a trovare banche disposte a farlo, è stato deciso che a finanziare il fondo sarà l’istituto milanese per un totale di 12 miliardi di euro, garantiti però dallo Stato.
È vero che applicando la direttiva Brrd, con una risoluzione di BpV e Veneto Banca, l’esborso pubblico sarebbe stato minore?
Lo Stato ha messo a disposizione delle due banche garanzie per 10 miliardi di euro. Nel caso di bail-in, avrebbe potuto perdere non pochi soldi. Una stima approssimativa parla di un miliardo in meno di costi per lo Stato.
Che impatto avrà l’aiuto pubblico su deficit e debito?
La Commissione europea «sta analizzando l’intervento nel dettaglio», per ora «non ci sono cifre disponibili sull'impatto sulle finanze pubbliche», ha detto un portavoce. Ciò detto, secondo una lettera interpretativa scritta nel 2013 dell’allora commissario agli affari monetari Olli Rehn, l’iniezione di denaro pubblico è considerata una operazione una tantum che non varrà nel calcolo del deficit pubblico, ma che peserà sul debito.
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