Nell’analisi renziana, la responsabilità delle sconfitte ai ballottaggi, è la coalizione di centro-sinistra. Ossia, quellinsieme di partiti e di personalità talmente distanti e autoreferenziali che non c’è Vinavil che tenga, al contrario di come vorrebbe Prodi che infatti ieri ha replicato di essere pronto a spostare la sua tenda più lontano dal Pd. Il fatto è che la tesi del segretario è stata respinta anche da Franceschini e dal ministro Delrio, segnando uno strappo significativo che non viene più solo dalla sinistra ma dal centro e che ormai mette in fermento tutte le aree del partito. Insomma, non è più solo Mdp o Pisapia o la minoranza di Orlando a strattonare Renzi ma sono perfino parti della sua maggioranza congressuale, come quelle dei due ministri, a metterlo in discussione. È l’effetto della sconfitta che sta allontanando i big dal segretario? Già perché un attacco così forte e “circolare” su un tema che, in fondo, dovrebbe maturare da qui alle elezioni del 2018 fa nascere il dubbio che sotto vi sia altro. Che cioè il vero obiettivo degli altolà non siano tanto e solo le alleanze ma una nuova tentazione renziana di andare al voto a novembre prossimo. Un’avventura pericolosa a cui i ministri Pd cominciano a opporsi apertamente.
E qui sta il vero cortocircuito di Renzi che mette all’indice le coalizioni-accozzaglia ma poi sorvola sulle divisioni del Pd e sulla contraddizione più corrosiva politicamente che è il suo rapporto con Gentiloni. Il sospetto che dietro le prese di posizione dei due ministri non ci sia solo la polemica sul centro-sinistra ma il sostegno al Governo arriva, in serata, proprio da una dichiarazione del segretario dopo una giornata di duelli a distanza. «La discussione sulle alleanze oggi è artificiale, abbiamo un anno prima delle elezioni».
Un anno al voto dunque, ma sarà vero? Non si è ancora capito infatti se Renzi in questo Governo c’è o fa finta di esserci. Lo zig zag è pressoché costante, lascia una sensazione di mal di mare perenne. Basta dire che si è andati a votare al primo turno delle città che da poco era passata l’onda di una chiamata alle urne in autunno su cui si era concretizzato il patto con Berlusconi e pure la prospettiva di possibile larga coalizione. In pochi giorni si è rovesciato lo schema per lo strappo dei 5 Stelle, Renzi è tornato sui suoi passi, ha cominciato a dialogare con Pisapia ma poi - a ballottaggi chiusi – dice che è una strada senza successo. Tutto lineare? È da un po’ che si va avanti per tentativi. Un po’ il segretario appoggia il Governo ma poi crea la cabina di regia per “coordinarlo”, un po’ ribadisce la fiducia ma poi è tentato dalle urne. E in questa altalena, il “fuoco” diventa il voto mentre si perdono le idee. Solo ieri, per esempio, ha benedetto le scelte di Gentiloni sul decreto-banche e sullo ius soli, con qualche ritardo su temi che di certo hanno avuto un peso elettorale e su cui è mancata una connessione operativa tra Pd e il suo Esecutivo che era stato lasciato solo. Le dichiarazioni di ieri sono ora la prova che Renzi il Vinavil lo metterà almeno tra il “suo” Pd e il “suo” Esecutivo? Nessuno se la sente più di dirlo ed è questo il danno se l’ambiguità diventa un tratto della leadership prima che della coalizione.
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