Migliorano le prospettive del commercio mondiale, riparte il ciclo degli investimenti, la ripresa si fa “corale” nel mondo. Sono tutti elementi che rendono più tonica anche la performance della nostra economia: per questo anche il Centro studi Confindustria, come già hanno fatto la maggior parte dei previsori, rivede al rialzo la stima della crescita italiana per il 2017, portandola all’1,3%, dal +0,8% formulato a dicembre scorso e ritocca l’aumento del Pil nel 2018 all’1,1% (contro l’1% precedente). Stessa scelta annunciata proprio ieri da Standard&Poor’s: l’agenzia ha ritoccato verso l’alto la sua previsione sul Pil italiano, portandola da +0,9% a +1,2 per cento.
Nel rapporto Csc c’è spazio anche per uno zoom sul progetto europeo. Dopo averne messo in evidenza i benefici e le carenze di funzionamento, soprattutto quelle manifestatisi dopo la crisi dei debiti sovrani, cui è seguito un uso pro-ciclico dell’austerity, passa a formulare una serie di proposte per avere “più Europa”. In primo luogo occorrerebbe cedere all’Europa quattro funzioni: le relazioni internazionali, la sicurezza e la difesa, il controllo delle frontiere e le politiche migratorie e, infine, un vero bilancio, comune soltanto all’eurozona. La Confindustria, poi, propone che, ai fini di una maggiore rappresentatività democratica, sarebbe necessaria l’elezione diretta del presidente della Commissione Ue, che dovrebbe essere anche presidente del Consiglio e l’istituzione di un parlamento dell’eurozona a cui dovrebbe rispondere un ministro delle Finanze, con competenza sulla politica di bilancio.
Tornando alla congiuntura, il direttore del CsC, Luca Paolazzi, ha spiegato che le nuove previsioni non fanno che contabilizzare il forte miglioramento congiunturale segnalato all’inizio di giugno dall’Istat. L’ente presieduto da Giorgio Alleva, come si sa, ha rivisto all’in su il profilo del 2016, ha innalzato la performance del quarto trimestre dello scorso anno e quella del primo trimestre del 2017. E tuttavia, secondo Csc, anche il secondo e il terzo trimestre del 2017 dovrebbero vedere un discreto ritmo di crescita: a far da traino, ancora una volta, saranno le esportazioni che quest’anno dovrebbero registrare un incremento del 4,6% (+3,9% nel 2018) in linea con la dinamica del commercio internazionale. Il peso dell’export per il nostro sistema economico continua a salire, sfiorando il 32% l’anno prossimo, dal 27% fatto registrare nel 2011. L’altro fattore in accelerazione sono gli investimenti, che hanno ripreso a crescere già dal 2014.
Sono tutti elementi positivi, che hanno permesso di dimezzare il differenziale di crescita del nostro paese con il resto dei paesi dell’euro(era pari a 1,4 punti percentuali nel 2015 e quest’anno sarà dello 0,7%). Ma il divario cumulato nei livelli del Pil totale e pro-capite continua a salire e rispetto al 2000 ed è pari, oggi, a 18 punti percentuali. Gli elementi di fragilità del sistema, del resto, non mancano: se è vero che vi sono stati importanti risultati occupazionali (+730mila occupati in più rispetto al punto di minimo del 2013) in Italia vi sono tuttora 7,7 milioni di persone cui manca il lavoro, in tutto o in parte, ricorda il rapporto, mentre nel 2017 e nel 2018 l’occupazione rallenterà al +0,9 e al +0,8% . Alla fine del biennio il tasso di disoccupazione sarà al 10%. A fronte di un modesto rialzo dell’inflazione (+1,3% nel 2017) le retribuzioni reali diminuiranno dello 0,5 per cento. Il costo del lavoro per unità di prodotto, però, salirà, sia nel 2017 che nel 2018.
Resta essenziale allungare il passo della crescita: con questo ritmo di aumento del prodotto per tornare ai livelli pre-crisi occorrerà attendere il 2023. Sul versante dei conti pubblici, il CsC vede una discesa lenta del rapporto deficit/ pil e lo colloca al 2,3% quest’anno e al 2,4% nel 2018 mentre lo stock del debito in percentuale del prodotto non si ridurrà per via di un pil nominale che aumenta poco. La stima Confindustria non incorpora nessuna ipotesi sulla manovra, nemmeno quegli 8 miliardi(pari allo 0,5% del Pil) in luogo del previsti 16- 17, di cui si sta cominciando a discutere. È chiaro, comunque, ha osservato Paolazzi, che con una manovra dello 0,5% del Pil, la crescita del prossimo anno sarebbe al di sotto dell’uno per cento.
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