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Per risparmi strutturali non «blocchi» ma riforme

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L'Analisi|Analisi

Per risparmi strutturali non «blocchi» ma riforme

Brutale, ma non strutturale. Il freno alla spesa realizzato con il lungo blocco di contratti e carriere dei dipendenti pubblici ha prodotto l’unica riduzione in valore assoluto nella spesa corrente di questi anni, accanto alla frenata degli interessi propiziata dalla Bce. Ma non poteva essere eterno, come spiegano la logica, la Corte costituzionale e la stessa esigenza di riaccendere la pubblica amministrazione appena investita da una riforma che promette innovazione a piene mani ma deve prima fare i conti con un pesante arretrato da sistemare.

I lunghi anni di stasi nelle assunzioni e nelle buste paga hanno congelato le sperequazioni fra chi è riuscito a spuntare progressioni e aumenti negli anni buoni e chi, più giovane, non ha mai avuto l’occasione di vedersi riconosciuti l’impegno e la professionalità. Per queste ragioni gli stipendi congelati, insieme al precariato tornato a gonfiarsi negli anni del turn over al lumicino, sono le due voci principali di questa eredità. E pesano anche sul futuro prossimo. Dopo otto anni senza rinnovi, è inevitabile la richiesta sindacale di schiacciare tutti gli aumenti sul tabellare, anche perché il «piano delle performance» e le nuove regole operative per misurare obiettivi e risultati sono ancora da costruire. E con 150mila precari (scuola esclusa) e il rischio di una nuova procedura d’infrazione Ue, la nuova ondata di stabilizzazioni è una mossa quasi obbligata. Il peso del passato, però, rischia così di schiacciare il futuro della Pa. Un rinnovo dei contratti limitato al tabellare e una riforma concentrata sulle stabilizzazioni offrirebbero alla fine un bilancio magro: confinando nei convegni le riflessioni più o meno alate su organizzazione e performance e rimandando l’attuazione vera, come sempre, a domani.

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