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Affondo di Grillo e liti Pd sulle banche ma voto tedesco e Bce muteranno…

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L'Analisi|politica 2.0

Affondo di Grillo e liti Pd sulle banche ma voto tedesco e Bce muteranno l’agenda italiana

Fare i conti senza l’oste è un po’ quello che sta accadendo in questi giorni nel dibattito politico – anche aspro – tra gli schieramenti. Si litiga sul renzismo e anti-renzismo, sulla leadership di Berlusconi nel centrodestra e sul “vestito” delle coalizioni mentre è piuttosto probabile che nell’autunno-inverno 2017-2018 l’agenda italiana verrà quasi certamente rivoluzionata – e plasmata - da due eventi: le elezioni in Germania e le decisioni che assumerà la Bce sul quantitative easing.

Due fattori discriminanti per la politica nostrana che in questi giorni si illude – o fa finta di farlo – che il vincolo esterno non esista più e che il livello del debito pubblico abbia smesso di essere un’emergenza. E invece sia il passaggio elettorale di Berlino - che confermerà l’asse europeista – che le mosse di Mario Draghi ci costringeranno di nuovo a fare i conti con la nostra finanza pubblica e con gli impegni in Ue. Saranno quindi le risposte dei partiti a queste spinte a disegnare alleanze e premiership.

Proprio ieri i 5 Stelle sono stati sul “pezzo”, si sono posizionati – cioè – su quello che sarà un tema della campagna elettorale e che dividerà il campo dell’offerta politica. Con un convegno alla Camera hanno discusso di debito e di euro lanciando un messaggio piuttosto netto con le parole di Grillo: «Il fiscal compact è una truffa semantica, economica e morale». Non si capisce quali conseguenze pratiche possa avere quest’affermazione, se si tradurrà nella proposta di un’uscita dalla moneta unica e dagli accordi vincolanti con l’Ue affiancando Salvini o se piuttosto prenderà consistenza l’ipotesi lanciata da Berlusconi di una doppia moneta. Proposta, tra l’altro, che era di Marine Le Pen poi sconfitta dall’europeista Macron.

Insomma, questo che è il fronte più esposto per gli italiani che già hanno visto – e pagato – gli effetti dell’emergenza con il Governo Monti, rimane molto fluido. Mosso solo dalle tattiche in attesa di fare i conti con l’oste-Europa. Non è quindi chiaro se i 5 Stelle arriveranno alla proposta più estrema o se – come è accaduto altre volte - adotteranno una posizione più morbida e problematica. Ieri nel convegno alla Camera Marcello Minenna, ex assessore al Bilancio della giunta Raggi a Roma, ha messo sul tavolo una domanda. «Perché non chiedere alla Corte di Giustizia europea se sia corretto implementare l’accordo sul fiscal compact per tirare fuori gli investimenti dal calcolo del deficit strutturale?». Interrogativo legittimo se non fosse che in Italia gli investimenti, fin qui, si sono tradotti più in proposte elettorali minando la nostra credibilità.

Da quest’altro lato della strada, dalle parti del Pd e del progetto Pisapia-Bersani, per il momento ci si concentra su altro che molto riguarda la leadership di Renzi mentre sorvola l’agenda europeista. Buttare giù le riforme dell’ex premier tra cui il Jobs act – tra le poche leggi promosse in sede Ue – serve solo in chiave interna ma non a definire la rotta che ci mantiene dentro il perimetro europeo e lontano da nuovi rischi sulla tenuta finanziaria se nel 2018 il Qe dovesse allentare i sui effetti offrendo meno riparo ai titoli di Stato italiani. Un assaggio dell’improvvisazione è quello che accade sul decreto banche. L’annuncio di ieri di Emiliano di non volerlo votare, mostra quanto frastagliato e fragile appaia lo stesso partito di maggioranza che dovrebbe sostenere il Governo dopo una faticosa trattativa in Europa.

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