Si è rialzata e ha ripreso a camminare, seppur “dimagrita” e depotenziata, sul sentiero dello sviluppo economico. Ora la Toscana punta ad accelerare la marcia, giocando le carte che potrebbero consentirle di entrare nel gruppetto di testa che traina il Paese, al fianco di Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte.
Dalla sua la regione ha uno dei brand più forti al mondo, fondato su bellezza del paesaggio, arte e buon vivere, che attrae 13 milioni di turisti all’anno e tanti investitori (soprattutto) nell’hôtellerie e nel vino. E ha anche un network di centri di ricerca e di saper fare artigianal-industriale che tiene stretti (pur con qualche affanno) sia le multinazionali radicate nel territorio che i tradizionali distretti industriali capaci di assicurare il 40% dei 33 miliardi di export annuale e presenti in vari settori (dal tessile all’oreficeria, dalla concia alla pelletteria, dal marmo alla carta fino ai camper e alla nautica).
Il nodo, segnalato dai centri studi di Bankitalia e Irpet così come dalle associazioni imprenditoriali e dai sindacati, è che la crescita attuale non è sufficiente a spingere l’occupazione e a far correre gli investimenti e il mercato interno. Quest’anno per la Toscana è previsto un incremento del Pil vicino all’1%, dopo tre anni di crescita moderata, da “zero-virgola” (2014, 2015, 2016).
Di positivo c’è la ripresa dell’export registrata nel primo trimestre 2017 (+10,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), dopo che nell’intero 2016 le vendite oltreconfine si erano quasi fermate (+0,6% il dato Istat). Segnali confortanti arrivano anche dall’industria, che l’anno scorso è stato il settore più performante (+2,6% la produzione), mentre resta modesta la crescita nei servizi (anche se va bene il turismo) e continua a ristagnare l’attività delle costruzioni.
«I numeri raccontano che è in atto una ripresa – afferma Pierfrancesco Pacini, presidente di Confindustria Toscana – ma è ancora troppo debole rispetto al terreno perduto nella lunga crisi. Per questo servono più impresa e più industria: dobbiamo cogliere le opportunità che lo sviluppo tecnologico fornisce alle nostre imprese, sfruttando al meglio le risorse europee disponibili nella logica del piano Industria 4.0».
E proprio il buon utilizzo dei fondi europei è tra i pilastri delle politiche di sviluppo regionale che indica il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi accanto a investimenti, formazione e infrastrutture. «Dal 2011 abbiamo messo in campo politiche che hanno consentito alla Toscana di affrontare i problemi sociali e occupazionali con maggior serenità rispetto ad altre regioni italiane – spiega Rossi -, adesso però non ci dobbiamo sedere, anzi dobbiamo accelerare sostenendo le imprese che investono e creano occupazione, e che possono trascinare anche quelle meno forti».
Restano, irrisolti, due problemi fondamentali: il ritardo infrastrutturale che frena lo sviluppo delle imprese; e gli ostacoli politico-burocratici agli investimenti, come il “no” definitivo espresso pochi giorni fa dalla Giunta regionale al rigassificatore di Rosignano Solvay, un investimento da 650 milioni proposto da Edison ormai 15 anni fa. E restano anche le difficoltà a far ripartire l’economia costiera, da Carrara a Massa fino a Livorno e Grosseto: neppure gli accordi di programma di Livorno e Piombino, finanziati con milioni di soldi pubblici, sono riusciti finora a dare risultati apprezzabili. Di contro la parte interna della regione, guidata da Firenze, viaggia alla velocità delle aree più forti del Paese. «Se guardiamo l’andamento dei principali indicatori economici dal 2008 a oggi – spiega Stefano Casini Benvenuti, direttore dell’istituto regionale di programmazione economica Irpet – la Toscana si posiziona già nel quadro delle regioni più forti del Paese. Ma il divario tra l’economia interna e quella della costa rappresenta un freno da rimuovere».
La conferma di essere “oltre la crisi” arriva dal fronte aziendale: «I bilanci delle società di capitali toscane – spiega Silvio Bianchi, direttore del dipartimento di Economia e management dell’Università di Pisa – mostrano il recupero realizzato in termini di redditività e di patrimonio netto. La crisi ha fatto indubbiamente una scrematura, ma chi è rimasto è bravo, investe e compete sui mercati. Per questo ci sono le potenzialità per ripartire più forte».
I punti di debolezza, secondo Bianchi, restano tre: le dimensioni aziendali ancora troppo piccole; il deficit di corporate governance che investe il funzionamento degli organi aziendali; la barriera tra imprese e università. «In Toscana - dice - abbiamo sette università, il Cnr e tanti centri di ricerca, e più di 60 sedi di Università straniere: sa cosa possiamo fare se riusciamo a far incontrare questo mondo con le imprese?».
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