Bloccare l'adeguamento dei requisiti minimi per l'accesso al pensionamento in funzione della variazione della speranza di vita significa toccare uno dei due “automatismi endogeni”, come li chiama la Ragioneria generale dello Stato, che garantiscono l'equilibrio finanziario del sistema e, dunque, la sostenibilità delle prestazioni in pagamento in un contesto di progressivo invecchiamento della popolazione. L'altro meccanismo è rappresentato dal coefficiente di trasformazione, ovvero l'algoritmo che serve per trasformare il montante contributivo in pensione, esso pure legato alle probabilità di sopravvivenza dopo la pensione. Se il coefficiente garantisce un equilibrio interno al sistema, determinando il valore dell'assegno pensionistico alla durata della vita da pensionato, il sistema di adeguamento dei requisiti di accesso alla pensione vale come semplice stabilizzatore di spesa.
Detto in termini più semplici: con una pensione calcolata al 100% con il sistema contributivo non conta quando vado in pensione, perché il coefficiente traduce in assegni mensili il mio montante cumulato sulla base degli anni attesi di vita (più a lungo vivo meno prendo e viceversa). Mentre se blocco a un certo livello il requisito di età per la pensione di vecchiaia o dei versamenti per la pensione anticipata determino un maggiore flusso di uscite annue dal mercato del lavoro e, dunque, una maggiore spesa.
La proposta della strana coppia Damiano-Sacconi sta tutta qui: fermare un ascensore senza toccare l'altro equilibratore automatico della spesa. E la mossa arriva in un passaggio di tempo che vede flussi di nuovi pensionamenti con assegni calcolati al 40% con il vecchio sistema retributivo e al 60% con il contributivo. Percentuali che negli anni a venire peseranno sempre più sul lato del contributivo.
I due presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato chiedono al Governo di bloccare il decreto di autunno che avrebbe fatto scattare a 67 anni il requisito per la pensione di vecchiaia dal 2019, e la domanda che sorge spontanea è: si può fare senza tradire il sistema contributivo che abbiamo adottato nel 1995 con la riforma Dini e poi sempre mantenuto nonostante le sei o sette riforme successive? Difficile dare una risposta fondata. Nel 2014, al momento di effettuare l'adeguamento dei coefficienti di trasformazione, quando ci si trovò di fronte a una variazione negativa della media quinquennale del Pil 2009-2013 pari a -0,1927% si decise (su proposta Inps) di introdurre una norma che stabiliva la “variazione zero” al posto dell'erosione del montante. Si potrà fare la stessa cosa con la speranza di vita? Non è impossibile, visto che l'altro equilibratore di spesa continua a funzionare. Ma è rischioso: manda un segnale sbagliato ai mercati che ci considerano un osservato speciale sul fronte della spesa sociale. Vale allora ricordare due cose e poi lasciar trarre ad ognuno le considerazioni che preferisce: 1) un sistema previdenziale (a prescindere al sistema di calcolo delle pensioni) sta in piedi se il mercato del lavoro viaggia su equilibri occupazionali adeguati (e non è il nostro caso); 2) le stime di lungo periodo della spesa pensionistica sono credibili se il fattore politico non entra in scena un anno si a l'altro no. Noi presentiamo stime attuariali perfette immaginando scelte politiche invariate. Ma è sempre così?
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