«Ne parleremo dopo l’estate, quando avremo le informazioni dall’Istat che ci darà i nuovi dati» sull’aspettativa media di vita «e avremo il quadro della situazione». Lo ha dichiarato il ministro del lavoro Giuliano Poletti, che prende dunque tempo in merito sull’eventuale blocco dell’innalzamento automatico dell'età pensionabile a 67 anni nel 2019 prevista dalla riforma Fornero. Fermare l’innalzamento automatico dell'età pensionabile è l’obiettivo di una proposta di legge presentata da due ex ministri del Lavoro Cesare Damiano (Pd) e Maurizio Sacconi (Epi) che raccoglie diverse sollecitazioni dal mondo sindacale.
Dai sindacati appello su stop a 67anni
Il rinvio all’autunno della discussione nel merito, non piace ai sindacati. «Il ministro del Lavoro sembra non cogliere la sollecitazione che Cgil, Cisl e Uil hanno evidenziato con l'attivo di ieri. È necessario che il Governo si impegni a bloccare l’innalzamento dell’età pensionabile» ha detto il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli, aggiungendo: «Le ragioni per bloccare l’innalzamento dell’età pensionabile sono evidenti già ora e non è pensabile aspettare l'autunno per affrontare questa questione. L'Italia è il paese che ha già l'età di pensione più alta in Europa e un ulteriore balzo renderebbe la cosa socialmente insostenibile». «Basta con questa sorta di scala mobile pensionistica, i meccanismi automatici sono stati aboliti da decenni: non è più accettabile un innalzamento automatico dell'età pensionabile» ha sostenuto il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo.
Blocco età pensionabile costa almeno 1,2 miliardi
Il congelamento del decreto direttoriale dei ministeri dell'Economia e del Lavoro che, entro l’autunno, dovrebbe far scattare dal 2019 l’aumento di 5 mesi dell'età di pensionamento per vecchiaia, portandola da 66 anni e 7 mesi a 67 anni, potrebbe costare non meno di 1,2 miliardi l’anno. La cifra è stata diffusa ieri dall'Ansa che ha citato fonti vicine al dossier. Ma la stima potrebbe rivelarsi molto più bassa del reale, se si tiene conto del fatto che i 5 mesi in più si applicherebbero a tutte le gestioni e scatterebbero pure per il canale dei pensionamenti anticipati.
Lo scenario demografico
L’adeguamento dei requisiti di pensionamento all'aspettativa di vita venne introdotto tra il 2009 e il 2010. Il meccanismo doveva portare a una stabilizzazione automatica di una spesa che andava (e va ancora) tenuta sotto stretto controllo. Il meccanismo è stato praticato due volte finora: con un decreto del 2011, che ha elevato di tre mesi i requisiti nel triennio 2013-2015, e un decreto di fine 2016, che ha elevato nuovamente i requisiti di quattro mesi per il triennio che termina a fine 2018. In base agli scenari demografici Istat a gennaio 2019 l'età per la pensione di vecchiaia salirebbe da 66 anni e 7 mesi a 67 anni. Poi si andrebbe a 67 anni e 3 mesi nel 2021, 68 anni e 1 mese nel 2031, 68 anni e 11 mesi nel 2041, 69 anni e 9 mesi nel 2051.
Sabato ultimo giorno per domanda Ape social
Intanto sabato a mezzanotte scadono i termini sia per fare richiesta di Ape social che di pensionamento anticipato per i lavoratori precoci. La domanda deve essere presentata online all'Inps, in alternativa è possibile rivolgersi a intermediari e patronati. Per l'Ape social, riconosciuta a disoccupati e chi svolge
attività gravose (età minima 63 anni), si tratta di una prima tranche. Ci sarà un secondo round nel 2018. Entro il 15 ottobre di quest’anno l’Inps comunicherà l’esito dell’istruttoria sulle richieste arrivate. Tuttavia, ha precisato lo stesso Istituto nella circolare dedicata all'Ape, le istanze presentate «dopo il 15 luglio 2017 ed al 31 marzo 2018, purché pervenute entro e non oltre il 30 novembre di ciascun anno, potranno essere prese in considerazione dall'Istituto nell'anno di riferimento, esclusivamente ove residuino risorse».
Spesa pensionistica sotto la lente della Rgs
Certo è che la spesa pensionistica resta l’osservato speciale. La Ragioneria generale dello Stato, che nei giorni scorsi ha pubblicato una versione anticipata del nuovo Rapporto sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario, ha indicato come a partire dal 2015-2016, in presenza di una maggiore crescita del prodotto e la prosecuzione graduale dell'innalzamento dei requisiti minimi di pensionamento, il rapporto fra spesa pensionistica e Pil dovrebbe decrescere per attestarsi attorno al 15,4-15,5% entro il 2019. Negli anni successivi, arriverebbe invece la nuova fase di crescita, sostanzialmente determinata dal ritiro dal mercato del lavoro dei babyboomers (i nati negli anni '50 e '60), che porterebbe il rapporto al 16,3%, nel 2044.
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