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Atac fallita, il referendum riaccende un faro sui monopoli locali

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trasporti e concorrenza

Atac fallita, il referendum riaccende un faro sui monopoli locali

Scade il 9 agosto la raccolta delle 30mila firme (siamo quasi a 20mila) che consentirebbero di tenere a Roma il referendum proposto dai radicali sulla liberalizzazione del trasporto pubblico locale a Roma. Il referendum invita a prendere atto del fallimento dell’Atac per voltare pagina, indicendo gare per uno o più gestori e liberalizzando i servizi che hanno un mercato. «Il referendum è locale ma la sua valenza è nazionale», ha detto ancora ieri Emma Bonino, che ricorda come «portare nella prossima primavera due milioni di cittadini romani a votare sul cambiamento del rapporto tra cittadino, amministrazione e servizi pubblici sarebbe cruciale per conquistare elementi di concorrenza oggi sconosciuti in Italia».

Il referendum punta in sostanza a mandare in soffitta il monopolio dell’Atac sul servizio di trasporto urbano, che negli ultimi dieci anni si è arricchito anche del servizio di metropolitana, in questi giorni sotto i riflettori per l’incidente occorso a una passeggera, trascinata dal treno mentre il macchinista mangiava (ora è sotto inchiesta). L’Atac - dice Bonino - «è un’azienda di fatto fallita, bacino di clientele politiche per decenni, che nega a tutti i cittadini, romani e non, la possibilità di muoversi in città liberamente, in modo semplice che almeno si avvicini a una capitale europea».

I radicali non salvano nessuno degli schieramenti che ha governato Roma negli anni passati. «Dal 2006 al 2015 - dice il dossier “Mobilitiamoci” sul referendum - l’offerta complessiva del trasporto pubblico a Roma è diminuita di 13 milioni di vetture-chilometro, l’offerta di bus elettrici è stata ridotta dell’80% e l’offerta tranviaria è calata del 30%». La pianificazione dei mezzi di superficie non è mai stata rispettata e quella di metropolitana quasi mai. L’età media dei bus è di dieci anni, quella dei tram 32.

«È sbagliato pensare che l’Atac sia il bene comune perché il bene comune è il servizio offerto ai cittadini. Per invertire la rotta occorre mettere a gara il servizio affidandolo a più soggetti, rompendo il monopolio e aprendo alla concorrenza. Le gare stimolano le imprese, pubbliche o private che siano, a comportarsi in modo virtuoso. Roma Capitale è ferma, come il Paese, e ha bisogno di attrarre nuove realtà imprenditoriali che possano investire contro i monopoli ma anche contro le svendite agli amici degli amici».

Dopo la bocciatura del decreto Delrio-Madia sui servizi pubblici locali da parte della Consulta, il tema dei servizi locali è stato parzialmente ripreso dalla manovrina ma senza una cornice legislativa coerente e organica. Di grande rilievo la recente decisione dell’Autorità anticorruzione che definisce robusti paletti alle gestione in house (caso Hera) ma si attende una “fase due” legislativa sulla concorrenza (legge o decreto legge) per avviare una apertura di mercato in quello che è il settore oggi più protetto e arretrato in termini di concorrenza: imperversa l’in house prorogato senza gara dal 2003 (emendamento Buttiglione al Dl 269/2003), come dimostra proprio la gestione dell’Atac, rinnovata per sette anni senza gara dalla giunta Veltroni nel 2006 e successivamente dalla giunta Alemanno nel 2012 per il periodo 2013-2019.

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