A chi era diretto quell’appello di Paolo Gentiloni? Nella giornata delle dimissioni del ministro Costa, che segnano un’altra smagliatura nella coalizione, sembravano molti i destinatari di quell’invito alla stabilità lanciato dal premier. Sembravano almeno tre. Più uno. Tre quanti sono i partiti che oggi reggono il Governo: Pd, Ap e Mdp. Più Silvio Berlusconi che con la sua campagna acquisti tra le fila del partito di Alfano o tra i gruppi misti rischia di consumare i fragili numeri del Senato. Escluso che Gentiloni voglia ampliare il perimetro della maggioranza con l’aiuto di Forza Italia, è vero però che le manovre del Cavaliere hanno un effetto collaterale e destabilizzante sull’Esecutivo se – dopo l’esempio di Costa – partissero nuove offerte a senatori in cerca di un seggio per la prossima legislatura. E dunque quelle parole di ieri avevano un richiamo preciso per chi abita ancora nella maggioranza ma anche per frenare chi può indebolirla e perfino sfaldarla.
Un rischio che ora viene escluso da chi sta mettendo in pratica le tattiche del Cavaliere. Sembra che al momento lui sia più intenzionato a concentrarsi sulla Camera (sulle offerte ai deputati) che non a Palazzo Madama proprio per non trovarsi nel mezzo di un dilemma. Quello - poi - di dover decidere come muovere i nuovi “arrivi”: se votare la legge di bilancio (o magari trovando il modo di farla passare); oppure dare il via alla crisi di Governo. In sostanza, con un pacchetto di senatori sottratti alle forze di maggioranza, la golden share del Governo sarebbe di Berlusconi ma sarebbe sua anche la responsabilità di decidere del suo destino. E, come dice Maurizio Gasparri, la «via del consociativismo con il Pd a pochi mesi dal voto, è esclusa». Ecco quindi che la campagna a Palazzo Madama rimane congelata.
Non a caso l’argomento che ieri usava Gentiloni per contrastare le fibrillazioni era quello della crescita economica, un risultato che il Pd può rivendicare ma a cui è sensibile anche l’elettorato moderato del Cavaliere. Il premier ha parlato di numeri «incoraggianti della crescita» ma che non bastano a tradursi «in risultati concreti» senza un «passaggio cruciale» che è quello della «stabilità politica ed economica». È evidente che con l’avvicinarsi della legge di bilancio, Gentiloni si prepara il terreno con un argomento politico forte qual è quello dei danni di una crisi e del rischio di farsi sfuggire la ripresa.
Un tema che certo vale per il Pd di Renzi che può rivendicare quei numeri in campagna elettorale ma che vale pure per l’altro polo in fibrillazione che è alla sua sinistra con Mdp. Anche il partito di Speranza e Bersani potrebbe trovarsi in un dilemma: fare campagna elettorale ed esasperare le differenze con Renzi fino ad arrivare a non votare la legge; oppure seguire la linea della responsabilità su cui li sollecita il premier. E su cui ieri li ha sollecitati Giuliano Pisapia quando li ha incontrati a Roma e li ha invitati ad assumere un’iniziativa con il Pd per far maturare dei punti di condivisione sulla manovra. Insomma, anche la fisionomia della sinistra dipende da quella scelta su cui li ha messi davanti Gentiloni, sia pure con un linguaggio strettamente istituzionale e non politico. E se il premier con il suo appello ha ritrovato “l’arma” della stabilità contro la crisi, domani - se le condizioni non migliorassero - potrebbe farlo anche Sergio Mattarella.
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