
C’è un doppio impatto positivo che il flusso dei migranti ha prodotto negli ultimi anni e che sarebbe difficile non considerare. Il primo è demografico e lo ha rilevato recentemente l’Istat. I 5 milioni di cittadini stranieri residenti (8,3%) del totale, hanno più che bilanciato il calo della popolazione e il suo progressivo invecchiamento. L’altro impatto è contributivo e i suoi effetti si sentono sugli equilibri del nostro sistema di welfare. Gli immigrati versano ogni anno circa 8 miliardi di contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto di circa 5 miliardi. Sono numeri offerti l’anno scorso dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, dati che su cui quasi certamente tornerà oggi in occasione della presentazione del nuovo Rapporto annuale dell’Istituto.
Certo, a fronte di questi contributi netti vi saranno un domani prestazioni: gli immigrati di oggi faranno parte dei pensionati di domani. Ma è anche vero - sottolineano sempre in Inps - che in molti casi i contributi versati non si traducono in pensioni perché molti di questi lavoratori lasciano il nostro Paese ben prima di aver maturato i requisiti. Secondo i conti fatti in Inps gli immigrati avrebbero fino ad oggi «regalato» agli italiani circa un punto di Pil di contributi sociali a fronte dei quali non sono state loro erogate delle pensioni. E ogni anno questi “contributi a fondo perduto” degli immigrati valgono circa 300 milioni di euro.
Non bastassero le stime dell’Inps, a riprova del “peso” in positivo dei migranti sulla tenuta del sistema previdenziale ci sono poi modelli di medio-lungo periodo elaborati dalla Ragioneria generale dello Stato per verificare la tenuta della spesa pensionistica. A seconda dei diversi scenari demografici presi in considerazione, tra il 2015 e il 2030 si considera una consistenza annua di immigrati fluttuante attorno alle 200mila unità, flussi netti che salgono ancora di più se l’orizzonte di stima sale al 2060, anni nei quali appunto questi lavoratori stranieri che si sono stabilizzati in patria comincerebbero a percepire la loro pensione.
Naturalmente, come detto, molti non restano in Italia. L’anno scorso gli iscritti in anagrafe provenienti da un Paese estero sono stati 300mila (cittadini stranieri nell’87,4% dei casi), mentre gli italiani rientrati dopo un periodo di emigrazione all’estero sono stati quasi 38mila, in crescita rispetto al 2015 di circa 8mila unità. Hanno lasciato il nostro Paese circa 157mila persone (di cui quasi 115mila di cittadinanza italiana), con un incremento di 12mila unità rispetto al 2015. Ma se si considerano anche i figli nati in Italia che emigrano con il nucleo familiare, si raggiungono circa 40mila persone.
Al netto di questi grandi flussi di entrata e uscita, resta infine da segnalare il “peso” dei lavoratori stranieri. Guardiamo gli ultimissimi dati Istat sugli occupati: sui 22 milioni e 726mila registrati alla fine del primo trimestre 2017, gli stranieri erano 2 milioni e 387mila (il 10,5%). Le donne straniere occupate a fine marzo erano un milione e 61mila su 9 milioni e 538mila donne occupate (11,1%). Tantissime di loro lavorano come badante in una famiglia di anziani, altro contributo sociale da contabilizzare nella nostra società che invecchia.
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