Alla vigilia del vertice petrolifero di San Pietroburgo, dove da oggi si riuniranno i Paesi produttori di greggio (Opec, Russia e altri Paesi esterni al cartello), l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, si è confrontato con la redazione del Sole 24 Ore sulle grandi sfide del mercato energetico mondiale e sulle strategie del gruppo italiano. «Non credo che sarà possibile raggiungere un accordo che possa rilanciare i prezzi del greggio con ulteriori tagli - ha detto il top manager dell’Eni - e non credo neppure che Paesi come l’Arabia Saudita possano agire unilateralmente con tagli produttivi consistenti».
Ma per Descalzi i problemi non finiscono qui: sul settore petrolifero pesano non solo le gravi tensioni geopolitiche e l’eccesso di offerta dello shale oil americano, ma anche un’ondata speculativa senza precedenti sui futures del greggio e sulle azioni delle major petrolifere. «La speculazione finanziaria è talmente forte - dice l’ad dell’Eni - da aver trasformato in investitore a brevissimo termine anche chi aveva strategie di lungo periodo. Forse, sarebbe il caso di adottare anche nel settore petrolifero forme di regolazione e controllo del mercato come quelle decise per le banche: le banche hanno un’autorità centrale, mentre nel nostro settore in passato il regolatore era l’Opec che adesso non sta più giocando lo stesso ruolo agli stessi livelli di tagli del passato».
Le conseguenze di questo lungo periodo di prezzi bassi, per Descalzi, sono drammatiche: soprattutto in Africa per quei Paesi in via di sviluppo che basano la loro economia sul petrolio e sul gas. È un mercato non regolato, quello che descrive Descalzi, che ha provocato la perdita di 470mila posti di lavoro nell’industria energetica, trascinando milioni di persone nella povertà.
Dottor Descalzi, che cosa si aspetta da San Pietroburgo? Crede possibile un accordo su nuovi tagli produttivi per risollevare le quotazioni del greggio ?
Non sono ottimista. La commodity petrolio è entrata in una crisi difficile. C’è meno fiducia anche da parte degli investitori istituzionali, che di solito hanno posizioni lunghe. Anche gli investitori a lungo sono diventati shortisti. È stato così dato spazio agli hedge fund agli speculatori. Probabilmente non credono che l’Opec sia capace di prendere iniziative radicali come ha fatto in passato. Dopo tre anni, lo scorso dicembre l’Opec ha deliberato un taglio produttivo di 1,2 milioni di barili al giorno (mbg). Grazie alla Russia, che ha deciso di ridurre la produzione di altri 650mila barili/giorno, il taglio produttivo complessivo è stato di 1,8 milioni di barili. Ma ricordo che nel 2008-2009, sono stati tagliati più di 4 milioni di barili. Una decisione che ha fatto salire il prezzo da 27 a 90 dollari in sei mesi.
Dopo tre anni di prezzi ai livelli attuali, la fiducia si è indebolita. Il contesto in seno all’Opec, invece, è cambiato. Diversi paesi dell’Africa sub-sahariana si trovano in gravi difficoltà. Sono paesi che hanno concentrato tutto su petrolio e gas senza diversificare l’economia.
Quindi la povertà e i flussi migratori sono anche il risultato di questo meccanismo distorto?
Il momento è difficile, la speculazione è forte. Per esempio, se il prezzo del greggio sale a 52 dollari, e questo a prescindere dal livello delle scorte, allora tutti vendono subito perchè non si fidano di cosa succede. Se il prezzo torna a 46 dollari, lo ricomprano. In questo modo vi sono speculatori che stanno realizzando centinaia di milioni, forse miliardi di dollari. È un mercato senza regole, che sta distruggendo l’industria primaria e nel settore energetico ha bruciato 470mila posti di lavoro in questi tre anni. In tutto milioni di persone. Se non arriveremo a una situazione di anomalia, intendo con una domanda nettamente superiore all’offerta, sarà difficile spazzare via la speculazione.
L’Africa è in grande difficoltà anche per questo. La mancanza di diversificazione delle economie e l’assenza di una distribuzione della ricchezza, contribuiscono alla povertà ed ai flussi migratori. Questo sistema sofisticato deve essere regolato. In modo da evitare eccessi produttivi importanti se non vi sono ragioni geopolitiche che li giustifichino.
Il settore del gas naturale rischia di assistere a un eccesso di offerta che potrebbe comprimere le già basse quotazioni. Nell’arco di pochi anni gli Stati Uniti, grazie allo sviluppo delle infrastrutture per il gas naturale liquefatto (Lng), intendono divenire i secondo esportatori mondiali di Lng, puntando all’Europa e ai mercati asiatici. Il Qatar ha annunciato grandi aumenti produttivi. L’Australia ha realizzato ingenti investimenti. Cosa ne pensa?
Gli Stati Uniti stanno vivendo una fase di sovrabbondanza di gas naturale. È un mercato che è cresciuto moltissimo grazie all’avvento dello shale gas. Il presidente americano Donald Trump in Polonia ha offerto di vendere il gas naturale liquefatto americano.Tuttavia in questo settore raggiungere un accordo politico è difficile. Alla fine sono i prezzi che contano. Gli Stati Uniti hanno sicuramente molto gas da esportare. Temo tuttavia che incontreranno grandi difficoltà ad esportarlo in Europa a causa del divario, a loro svantaggio, tra i prezzi. In questo momento i loro carichi di Lng sono diretti in Sud America e in Medio Oriente. Anche nell’ipotesi estrema che gli Stati Uniti intendano concorrere con il gas russo, non sarebbe difficile per Gazprom , che fornisce all’Europa circa 170-180 miliardi di metri cubi, avere il sopravvento. Proprio a causa dei bassissimi margini del gas americano, per Gazprom sarebbe sufficiente abbassare di pochi centesimi il prezzo del loro gas .
Ma il mercato del gas non è troppo depresso in Europa a causa del calo dei consumi?
Nel 2008 l’Europa era un mercato in forte crescita; consumava 530 miliardi di metri cubi l’anno. Poi è crollata sotto i 400 miliardi. In questo periodo siamo ancora sotto di 100 miliardi rispetto al 2008. Ma si ritiene che a partire dal 2025/2028 la domanda europea di gas possa tornare ai livelli di fine 2008. È una speranza. Dipende dai prezzi, e dipende da dove arriva il gas. L’'Europa è debolissima dal punto di vista energetico,importa più del 70% del gas che consuma, ma è molto forte dal punto di vista infrastrutturale.
La scoperta di nuovi giacimenti in Israele, Cipro e in Egitto, dove Eni sta lavorando nel campo di Zohr, potrebbe rendere il Mediterraneo orientale un grande hub per il gas naturale, ma anche per l’Lng, che vedrebbe coinvolta anche l’Italia.
La scoperta di grandi giacimenti di gas in Israele, a Cipro (anche se finora sono giacimenti marginali), e forse in futuro anche in Libano (in settembre partiranno le prime gare), ha rappresentato un grande momento di aggregazione. Israele ed Egitto, per esempio, hanno raggiunto un accordo per poter sfruttare le installazioni di Lng egiziane e utilizzare così il gas che in futuro potrebbe venire da Israele. Il gas ha funzionato da catalizzatore di un accordo geopolitco importante in quest’area. Quanto all’Egitto, spendeva 2,5 miliardi di dollari all’anno per acquistare Lng a prezzi elevati. La scoperta del giacimento di Zohr, il più grande mai trovato nel Mediterraneo, li ha resi nuovamente più che indipendenti. Puntiamo a far partire Zohr entro la fine dell’anno, e questo rappresenta per noi un risultato eccezzionale.
Il raddoppio del gasdotto Nord Stream che, passando per il mar Baltico, collega Russia e Germania, non rischia di compromettere i piani di espansione dell’Eni?
A nostro modo di vedere il Nord Stream non rappresenta un problema. L’Europa avrà sempre meno gas estratto nei suoi confini e dovrà importarne sempre di più. È dunque importante che crei un accesso molto diversificato. Sono convinto che l’Europa non possa fare a meno della Russia. È il paese con il gas meno caro e con le potenzialità maggiori. Sta fornendo oltre 170 miliardi di metri cubi l’anno, ma la capacità dei suoi gasdotti potrebbe arrivare a 250 miliardi di metri cubi. Oltretutto confina con l’Europa. Per i Paesi del Nord Europa il raddoppio del Nord Stream ha la sua logica. I giacimenti olandesi si stanno riducendo. Il fatto che il nord Europa abbia molto gas non è un problema per noi. Ma per non aumentare di troppo il prezzo del gas importato in Italia non dobbiamo acquistarlo tutto dal nord. Eni è il primo cliente di Gazprom, con un volume di 23- 24 miliardi di metri cubi, un valore importante se consideriamo i 67 miliardi di metri cubi che utilizza il nostro Paese. L’Italia ha bisogno che ci siano delle linee da sud. Perché riducono il costo della logistica ed il prezzo del gas per i consumatori. L’Italia ha una grande potenzialità, 120-125 miliardi di capacità di ricezione e di trasporto. Ma ne utilizza solo 62-70 miliardi. Quindi 50-60 miliardi potrebbero essere veicolati al nord. Ora il reverse flow verso Svizzera, Austria e Germania, è di circa 15 miliardi di metri cubi, ma possiamo fare senz’altro meglio.
Dovremmo importare gas anche dal sud; dalla Libia, dall’Algeria, dal Mediterraneo orientale. Darà valore all’Italia, un Paese che importa il 92% del gas che consuma. L’Italia ha l’opportunità di diventare un hub per l’Europa, con una fortissima connessione con il Nord Africa e il Mediterraneo orientale.
La Total ha appena firmato un accordo per lo sfruttamento di un grande giacimento di gas in Iran. Considerazioni economiche? Considerazioni geopolitiche? Timori più vasti di ritorsioni, per esempio da parte americana nei confronti delle banche che possono finanziare le operazioni?
Come sapete abbiamo firmato anche noi, un mese e mezzo fa, un accordo con la compagnia petrolifera iraniana, la Nioc, relativo a una valutazione per un potenziale sviluppo di petrolio (Darkhovin) e uno di gas (Kish). Quest’ultimo potrebbe essere usato sia per il mercato interno che per l’export. Tuttavia, come Eni, ci troviamo in una situazione diversa rispetto ad altri concorrenti. Siamo stati gli unici in Iran per quindici anni, e siamo ancora presenti nel Paese. Sono contento che la Total sia in Iran e onestamente spero che altre compagnie ci vadano. Il mondo è grandissimo, magari in futuro intraprenderemo nuovo progetti anche noi.
Teniamo però conto che noi negli ultimi 7 anni abbiamo scoperto nel mondo quasi 15 miliardi di barili equivalenti. Quindi abbiamo un asset-base davvero importante e,soprattutto, che a livelli di costi è al di sotto del dollaro per barile scoperto. È un livello davvero che ci consente di avere costi di sviluppo molto bassi. Siamo presenti già in moltissimi paesi. Siamo attivi in Africa, in Libia, in Egitto, in Nigeria, Angola, Congo, Ghana, Kenya e Mozambico, dove abbiamo scoperto il più grande giacimento di gas naturale degli ultimi 10 anni.Senza tralasciare il giacimento individuato in Messico, che per importanza e produzione forse si avvicina a quello egiziano di Zohr. In Messico abbiamo grandi aspettative. Si tratta di olio convenzionale senza rischi operativi. Tutto questo ci posiziona in modo diverso rispetto agli altri operatori.
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