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#riscattalaurea gratis, la mobilitazione social dei giovani precari

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social NETWORK e previdenza

#riscattalaurea gratis, la mobilitazione social dei giovani precari

«Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale». La frase attribuita nel 2010 all'ex presidente dell'InpsAntonio Mastrapasqua venne in realtà smentita. Ma anche se non vera, appare sempre più verosimile con il passar del tempo, ossia con la sempre più chiara definizione delle prospettive pensionistiche di chi – giovane e spesso parasubordinato – vede davanti a sé un destino previdenziale molto ma molto peggiore di quello dei propri genitori. Naturale che i giovani si mobilitino per ottenere dal Governo e dal Parlamento misure a sostegno del proprio futuro.

Ed è altrettanto naturale che questa mobilitazione nasca ed esploda sui social media. È degli ultimi giorni la diffusione virale della campagna #riscattalaurea, che su Facebook e Twitter. Migliaia di post per una campagna che vede rimbalzare di time-line in time-line le richieste dei giovani di poter mettere nel proprio carniere quattro (o più) anni di contributi gratuitamente.

Il perché è comprensibile: il versamento che riscatta il periodo di studi universitari – per quanto fiscalmente incentivato in quanto deducibile dalla dichiarazione dei redditi - è parametrato sul reddito percepito (quando c'è, altrimenti ci pensano i genitori che possono detrarre i versamenti), ma qualora questo sia discontinuo e frammentario risulta particolarmente gravoso economicamente per il neo-laureato. E indigesto: da una parte ci si impegna a versare per quattro anni 400/500 euro al mese, dall'altra parte si vive l'incertezza di un reddito discontinuo qualora manca la certezza della durata del contratto, almeno per un quadriennio. Lo stesso sito web dell’Inps fornisce alcune indicazioni concrete di quanto costa riscattare il corso di laurea. E del suo effetto sul percorso pensionistico dell’individuo.

Le cronache degli ultimi giorni riferiscono di un incontro tra i responsabili del coordinamento di #riscattalaurea Luigi Napolitano e Rosario Pugliese con alcuni funzionari del Miur, ossia Marco Mancini, capo dipartimento del Miur per la formazione superiore e la ricerca e Andrea Giorgio, responsabile della progettazione politiche pubbliche della segreteria particolare della ministra Fedeli. Un incontro interlocutorio, al di là i alcuni toni ottimistici di Napolitano e Pugliese che avevano sottolineato «l’interesse quasi inaspettato e una condivisione che si è poi trasformata in un impegno a convocare un tavolo tecnico entro la prima settimana di agosto, quindi prima della pausa estiva». Il Miur ha precisato tuttavia la disponibilità all'ascolto e all'approfondimento, ma nulla di più.

In realtàsi discute da tempo nelle sedi tecniche di introdurre meccanismi di compensazione alla drammatica carenza di risorse economiche a fini previdenziali che va incontro chi accumula con fatica pensioni contributive: l’ultima ipotesiprevede “pensioni di garanzia” per giovani e 40enni con carriere discontinue che preveda una prestazione di 540 euro mensili per chi è in possesso di 20 anni di versamenti, da innalzare di 30 euro al mese per ogni anno di lavoro in più, fino ai mille euro. Una prestazione “minima” destinata a prendere il posto delle “pensioni integrate al minimo”, pari a 6.524,57 euro l'anno, che l'Inps garantisce a milioni di italiani che in base alla loro contribuzione dovrebbero incassare molto meno.

Il problema è sul tappeto da decenni, nei convegni e nelle segreterie tecniche. Ma non riesce ad uscire dai ministeri in forma compiuta. Perché nel gioco delle parti, alla cautela dei tecnici corrisponde invece l'animosità dei politici che da decenni utilizzano il tema pensionistico come volano di marketing elettorale: chi non ricorda la finanziaria '74 quando il governo Rumor concesse di andare in pensione con 14 anni sei mesi e un giorno di lavoro.

Difficilmente tuttavia la proposta dei giovani di #riscattalaurea passerà, a meno che nella prossima campagna elettorale i partiti mettano nel mirino della propria attività di marketing politico i più giovani, nonostante quantitativamente rappresentano una fetta dell’elettorato inferiore a quella dei loro genitori e nonni. La difficoltà maggiore consiste nella difficile circoscrizione: la proposta prevede che entro in vigore dal 1° gennaio prossimo, il che potrebbe frenare la decisione di molti di riscattare in questi mesi il proprio corso universitario. Lasciando così fuori tutti coloro che hanno pagano il prezzo della crisi economica. Tanto da spingere #riscattalaurea a dire “ogni altra ipotesi che escluda la totalità dei laureati ci vedrebbe fermamente contrari e pronti a portare in piazza la protesta”.

In caso di fallimento della proposta, il rinvio della decisione rischia di diventare un costo in termini di prestazione futura di cui nessuno vorrà attribuirsi la paternità. E poi c'è il rischio arbitraggio, molto comune soprattutto in materia fiscale, quando cambiano le norme. Chi avesse già deciso di sborsare migliaia di euro quest'anno o nei precedenti si sentirebbe ovviamente beffato dal vedere altri beneficiare gratuitamente dell'allungamento del proprio destino contributivo.

Si creerebbe insomma un'ingiustizia per compensare gli effetti di altre ingiustizie, senza sanarne la causa, e producendone altre. Che i giovani abbiamo tutte le ragioni per riequilibrare il sistema è fuori discussione. Che spetti alle generazioni più giovani è nella natura delle cose. Che ci riesca questa generazione è probabilmente molto più difficile che in passato.

E poi c'è un dettaglio: ciò che è gratis per i giovani è oneroso per l'Inps, cioè lo Stato ossia la collettività, che è chiamato a erogare prestazioni senza aver incassato in cambio contributi. Fare calcoli è difficile ma tutto ciò che si tocca nel sistema pensionistico ha una conseguenza. Si prenda il caso della proposta bipartizan Damiano-Sacconi di bloccare l’adeguamento dell’età pensionistica all’aspettativa di vita: in una recente intervista al Sole 24 Ore il presidente dell'Inps Tito Boeri ha calcolato in 141 miliardi di euro di spesa pubblica da qui al 2035, se si decidesse di mantenere bloccata l'età della pensione a 67 anni dal 2021 in avanti.

Per i responsabili del coordinamento “da mesi ormai si sta parlando della possibilità di riscatto degli anni della laurea ai fini pensionistici, negli ultimi tempi si è arrivati a ipotizzare che a beneficiarne siano solo gli iscritti dal 2018.
Il rischio ingiustizia è alto: tra le ipotesi più accreditate che circolano in rete c'è quella di consentire il riscatto gratuito degli anni di laurea esclusivamente ai nati dopo il 1980, il che offrirebbe loro una prerogativa negata a chi, nata o nato negli anni precedenti, abbia deciso di pagare per allungare il proprio percorso previdenziale di quattro anni. E che magari ha redditi e patrimoni propri e/o familiari inferiori rispetto a chi, nato negli anni 80 e con una situazione reddituale e patrimoniale migliore, potrebbe beneficiare di questa norma.

“Da considerare il rischio arbitraggio, molto comune soprattutto in materia fiscale, quando cambiano le norme: chi avesse già deciso di sborsare migliaia di euro quest'anno o nei precedenti si sentirebbe ovviamente beffato dal vedere altri beneficiare gratuitamente dell'allungamento del proprio destino contributivo”

 


Intendiamoci, il destino previdenziale dei giovani italiani è senza ombra di dubbio drammatico: la solidarietà tra generazione è ormai saltata: non sono più i giovani a mantenere gli anziani, ma questi ultimi – genitori o nonni – a supportare economicamente figli e nipoti. Non più provvisoriamente come accadeva fino a poco tempo fa, nell'attesa che le loro carriere decollino, ma in un modo sempre più definitivo. Tanto che ormai da anni le indagini della Banca d'Italia sui bilanci delle famiglia italiane tengono conto del trasferimento di ricchezza dalle coorti di anziani a quelli di giovani. E com'è noto la crisi ha aumentato la discontinuità lavorativa e contributiva ed è difficile scorgere nella pur timida ripresa del Pil un impatto chiaro in termini occupazionale tra gli under 40 e in materia di dinamica dei redditi.

Il che non è certo una sorpresa di queste ultime settimane: anche perché l'introduzione del sistema contributivo non è - come erroneamente molti considerano –attribuibile alla riforma Monti-Fornero del 2011 ma alla Dini-Treu del 1995 che però prevedeva di entrare nel pieno del suo vigore gradualmente, nei decenni successivi. Una gradualità che ha portato la riforma contributiva fuori dal monitor percettivo degli italiani. A dispetto dell'articolo 1 della Costituzione, pare che la Repubblica previdenziale sia fondata non sul lavoro ma sull'eccezione pensionistica. Anche se, come si dice in finanza “non esistono pasti gratis”. E l'enormità del nostro debito pubblico ce lo ricorda periodicamente.

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