Economia

Dossier Se il «bello» non basta per essere leader

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    Dossier | N. 13 articoliIl turismo ai raggi x

    Se il «bello» non basta per essere leader

    Siamo il Paese del bello e del ben fatto. Non riusciamo, però, a mettere in valore il turismo come si dovrebbe. Il Centro studi Confindustria e Prometeia sottolineano gli ampi margini di miglioramento del turismo internazionale in Italia: se avessimo la stessa quota spagnola, la spesa dei non-residenti in Italia salirebbe di ben 15,1 miliardi di euro. Facile da prevedere, ma complicato da realizzare. Il turismo internazionale di oggi non è quello dei tre decenni del dopoguerra, quando l’Italia era la prima meta mondiale. Allora, mobilitava circa 30 milioni di persone, oggi oltre 1,2 miliardi. Quantità differenti e diversi i modi di fare turismo.

    Colpisce, però, che manifestiamo incapacità e limiti di sistema in un’attività di cui siamo stati leader mondiali fino agli anni Settanta e che crescerà di un 3,3% medio annuo, a scala mondiale, fino al 2030. Suscita una qualche invidia che oggi sia la Spagna la prima meta turistica europea e la seconda al mondo (dietro gli States). Negli anni ’50, quando l’Italia era prima meta del turismo internazionale (quasi il 20%), la Spagna non compariva neppure tra le prime 15. Anche nel 2016 il turismo spagnolo è cresciuto in modo significativo, mentre quello italiano è riuscito appena ad acciuffare al secondo posto quello francese, in sofferenza per il terrorismo, ma solo con una modesta crescita, sotto l’1 per cento.

    Il nostro turismo cresce (anche favorito dalla geopolitica difficile, in Turchia ed Egitto), ma molto lentamente rispetto ad altri Paesi. Un incremento più robusto è atteso per il 2017, confermato dal forte aumento previsto di turisti europei in questa estate bollente.

    Nonostante il declino relativo, il turismo in Italia incide per oltre il 10% del Pil e per circa un 12% sull’occupazione totale. È diventato un’attività di massa lungo le coste, i laghi, le montagne, le città d’arte e i borghi medievali, con affitti brevi di case, attività di bed and breakfast e agriturismi. Per molti italiani il turismo ha funzionato da volano durante il periodo di crisi, un modo per recuperare risorse aggiuntive familiari, anche nel ceto medio, mettendo in valore le proprie proprietà immobiliari.

    Cresce la partecipazione delle famiglie all’offerta turistica e con essa aumenta anche la consapevolezza che si potrebbe fare di più e con maggior efficacia, anche per alberghi e residenze di lusso. Turisti americani, ma anche giapponesi, cinesi e coreani, in qualità di big spender del turismo internazionale, richiedono un’elevata qualità di servizi e alloggi (Csc 2017).

    Ci sono tanti luoghi comuni d’attrazione che connotano l’Italia, dalla bellezza dei suoi paesaggi alle sue unicità artistiche e culturali, dalle incantevoli vestigia del passato alla sua rinomata enogastronomia.

    Tutto questo funziona. Quello che sembra carente è una logica di sistema-Paese, di raccordo del nostro policentrismo territoriale, sempre sull’orlo del caos, disperso com’è nella miriade dei localismi e municipalità della penisola. Bene fare del 2017 “l’anno dei borghi” dopo il terremoto; bene anche il primato di 53 siti Unesco e, finalmente: l’illuminazione a Pompei, un simbolo per la rinascita di un sito che in passato ha provocato marosi di critiche mondiali per la sua inefficienza e degrado.

    Tuttavia, per cambiare passo e tenere l’agognata velocità spagnola è necessario dare maggior incisività al MiBACT (acronimo del ministero dei Beni e delle attività culturali e del Turismo) e all’Enit (Agenzia nazionale del turismo). Il piano di comunicazione fino a oggi è apparso disperso in mille rivoli, troppo locali per intercettare il nuovo turismo globale. La Spagna si affida a El Sol de Miró per il suo logotipo ufficiale. Anche la composizione del turismo internazionale è mutata: è sempre più extra-occidentale. Solo i cinesi incidono per il 15% sul turismo internazionale.

    Non solo siamo dietro a Spagna e Francia per quanto riguarda la competitività del trasporto terrestre, centrale per il mercato turistico europeo, ma siamo in ritardo per il trasporto turistico extraeuropeo (Alitalia, icona amara).

    La capacità competitiva del nostro turismo batte un po’ la fiacca, nonostante il Travel and Tourism Report (2017) collochi l’Italia all’8° posto al mondo per competitività turistica. La Spagna, però, è prima (Francia seconda), soprattutto grazie a un contesto meno sfavorevole al business e con prezzi più contenuti. Siamo all’undicesimo posto per infrastrutture di servizi al turismo, gli spagnoli al secondo. Spagnoli e francesi ci superano e dimostrano che potremmo fare di più.

    In Italia, le imprese non sono messe nelle migliori condizioni per operare: a esempio, l’incertezza che si è creata, a stagione estiva iniziata, con i voucher, con nuove norme a cui dover adattare programmi già stabiliti. Oltre i collegamenti logistici, ci penalizzano fortemente le incertezze legali e le lungaggini burocratiche per chi intende fare business. Dobbiamo poi aggiungere la piaga dell’abusivismo, le ferite da noi inferte alla natura, la forte pressione fiscale sulle imprese e il capitolo speciale “turismo e Mezzogiorno”, altra frontiera storica.

    Il 2017 sarà ricordato come un anno record per il turismo italiano: con quest’onda favorevole, dovremmo accelerare i tempi di verifica e attuazione del Piano strategico per il Turismo e tentare di recuperare le sinergie necessarie per tornare sul podio dell’eccellenza mondiale.

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