I Comuni evitano l’accoglienza qualificata, finanziata dallo Stato, inclusiva di formazione e integrazione, dei migranti. Quella che si chiama anche «accoglienza integrata» ed è rappresentata dallo Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati): si trova solo nel 5% dei centri urbani in Italia. La denuncia arriva da una ricerca della Fondazione Leone Moressa: «Meno del 15% dei migranti accolti in Italia è ospitato in centri Sprar» si legge nel documento. Eppure i Comuni avrebbero tutto l’interesse a dare seguito a questo sistema. L’adesione è volontaria. Consente l’accesso al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Prevede l’istruzione degli immigrati adulti, a partire dalla lingua, l’iscrizione a scuola dei minori migranti, «servizi volti all’inserimento socio-economico delle persone» attraverso «percorsi formativi e di riqualificazione professionale per promuovere l’inserimento lavorativo» come si legge sul sito www.sprar.it. Un’architettura dove il ministero dell’Interno, l’Anci (Associazione nazionale Comuni d’Italia), i singoli centri urbani, gli altri enti territoriali e il terzo settore condividono e coordinano i progetti. E i Comuni sono comunque i protagonisti.
Le statistiche elaborate dalla Fondazione Moressa, tuttavia, sono sconfortanti. I dati presi a riferimento sono gli ultimi resi disponibili sull’accoglienza dal dicastero guidato da Marco Minniti, aggiornati al 23 gennaio. Annoverano 175.500 migranti accolti in Italia, oggi siamo a quota 200mila circa. Anche perché al 4 agosto, secondo il Viminale, sono giunti dall’inizio dell’anno 95.811 immigrati (-3,24%). Ma da gennaio a oggi l’incremento nell’ospitalità di richiedenti è quasi tutto in capo ai Cas, i centri di assistenza temporanea: ricercati in fretta e furia dai prefetti, obbligati a distribuire la quota di migranti destinata dal Viminale dopo ogni sbarco. Nei Cas, dunque, c’è la quasi totalità dell’accoglienza dei 3.183 Comuni - su 8mila - finora impegnati nell’ospitalità dei richiedenti asilo e rifugiati. Qualche segnale positivo sembra arrivare: si parla di 153 nuovi progetti, che coinvolgono 350 Comuni, a tre mesi dall’ultimo bando Sprar. Il paradosso - solo apparente - è che grazie alla «clausola di salvaguardia» della direttiva 11 ottobre 2016 dell’allora ministro Angelino Alfano, poi confermata da Minniti, i centri urbani disponibili a entrare nello Sprar non possono vedersi imporre dalle prefetture nuovi Cas. La realtà tuttavia ha un’altra faccia: per troppi sindaci è meglio mostrare di subire gli atti del prefetto che esporsi in prima persona sui migranti.
Tra i primi 15 Comuni con maggiori presenze nello Sprar prevale il Sud: come ricorda la Fondazione Moressa sono «quattro in Sicilia, tre in Calabria e in Campania, due in Puglia e nel Lazio». A Riace (Reggio Calabria) l’incidenza maggiore con 175 migranti di un progetto Sprar su una popolazione di 2.345 abitanti. Segue Vizzini (Catania), con 344 migranti su 6.164 abitanti e S. Caterina dello Ionio (Catanzaro) con 57 migranti su 2.194 abitanti .
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