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Dossier L’efficienza del modello britannico

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    Dossier | N. 22 articoliIl dibattito sull’Università - 40 anni persi

    L’efficienza del modello britannico

    (Agf)
    (Agf)

    Ci sono oltre 5.000 ricercatori italiani nelle Università del Regno Unito, universalmente riconosciute come la seconda potenza accademica e di ricerca del mondo, dopo gli Stati Uniti. Una tale numerosità di accademici e ricercatori italiani in un sistema accademico di eccellenza fa fare un paio di importanti considerazioni. La prima è che che le nostre scuole e università riescono a produrre studenti bravi, dando loro solidi basi per affrontare studi e ricerche scientifiche avanzate e sfide professionali impegnative. La seconda riguarda il sistema accademico britannico e internazionale (e non è altrettanto positiva per noi). Va osservato che gli italiani non sono la popolazione accademica non-britannica più numerosa; anche se di poco, i tedeschi ci superano. Quello che spesso viene descritto o immaginato come un fenomeno ristretto al nostro Paese è in realtà un fenomeno diffuso: i ricercatori si spostano da un Paese all’altro. Per altro, non mi risulta questo venga visto come un problema in Germania. Nella concorrenza internazionale, il Regno Unito è visto come una meta ambita per studiosi e ricercatori di tante discipline e di tante nazionalità.

    Non è lo scopo di questo breve spunto affrontare l’effetto che la Brexit sta avendo su questa attrattività, un effetto che c’è ma dato che per il momento è principalmente dovuto all’incertezza sulle soluzioni che verranno trovate, vale la pena rimandare considerazioni più approfondite a uno spazio dedicato e quando gli accordi tra Regno Unito e Unione europea cominceranno a prendere forma. Se cerchiamo di comprendere cosa renda così attrattiva l’accademia britannica forse potremo capire le ragioni per cui in Italia c’è un flusso di studiosi in uscita (che non è il problema) ma non ce n’è uno in entrata (che è il vero problema). Università come Oxford, Cambridge, Edimburgo, e le più importanti università Londinesi (ad esempio, University College London, Imperial College, King’s College) esercitano un fascino indiscusso ma come si mantiene questo fascino nel tempo nonostante la forte competizione internazionale?

    Un punto centrale dell’attrattività britannica è la certezza dei tempi e delle regole sulle opportunità di ricerca. Uno studioso che viene nel Regno Unito sa che ogni anno può competere con i suoi colleghi per finanziamenti. Ogni anno! E su temi molto ampi. Sono i fondi messi a disposizione dai “research council” (che, a differenza del nostro Cnr, fungono da agenzie e coprono tutti i settori del sapere) ed ammontano ad oltre un miliardo di sterline l’anno, tutti gli anni. Fondi che vengono distribuiti con una valutazione meritocratica basata sulla peer review e che costituiscono uno dei due canali di finanziamento alla ricerca britannica. Dunque il sistema non garantisce finanziamenti, ma garantisce la possibilità di competere per essi. Un seconda caratteristica è l’elevato grado di autonomia delle università del Regno Unito. Autonomia che inizia dalla definizione dei criteri di ammissione per gli studenti, che si fondano in gran parte sul curriculum scolastico, in qualche caso con una intervista aggiuntiva tra gli studenti che hanno un curriculum adeguato. Autonomia che continua nel reclutamento dei docenti: non vi sono concorsi nazionali, non vi sono regole scritte a livello nazionale su come scegliere il docente più adeguato alle esigenze dell’Università. Non vi sono regole neanche nella definizione del salario, che non è uguale per tutti ma è parte della contrattazione tra Università e singoli docenti. Meno controlli a monte, quindi. Niente abilitazione nazionale, niente concorsi.

    Ogni università (giustamente, aggiungerei) definisce volta per volta le professionalità accademiche di cui ha bisogno, attività che da noi viene vista come “pre-definizione del vincitore” ed è oggetto di ricorsi. Certo la definizione delle caratteristiche di un ricercatore/professore da assumere non dovrebbe servire a far reclutare qualcuno “designato” per motivi non confessabili, ma semplicemente a inserire in un dipartimento/centro/comunità scientifica le professionalità adeguate. Nel Regno Unito, a fornire buoni incentivi, interviene una severa valutazione ex-post, il Ref (Research excellence framework) che determina il finanziamento alle singole università sulla base di un valutazione delle ricerche fatte e del loro impatto. Quindi se recluti amici e parenti che non sono bravi, sarai penalizzato al momento di esser valutato dal Ref. Detto in altri termini, fai quello che vuoi ma se lo fai male non ti do risorse. Il finanziamento alle università a valle del Ref è il secondo canale di finanziamento della ricerca britannica. Come detto prima, l’altro canale è costituito dai finanziamenti a progetti di ricerca presentati dai singoli ricercatori. Quindi se recluto amici e parenti i cui progetti non sono approvati, sono ulteriormente penalizzato!

    Vorrei a questo punto anche osservare che per quanto riguarda metodi della valutazione delle università non sfiguriamo. In una recente conferenza organizzata dall’Ambasciata di Londra e da Aisuk (Association of Italian Scientists in the Uk) dove si è discusso di valutazione universitaria, il nostro sistema Vqr gestito dall’Anvur non sfigura rispetto al Ref britannico. I due sistemi di valutazione si fondano su princìpi simili, ma hanno un impatto molto diverso sul finanziamento della università, molto più incisivo e rilevante quello britannico.

    In conclusione, il sistema britannico è attrattivo perché offre certezze ai ricercatori sulla possibilità di competere e perché la competizione tra università parte dalla selezione degli studenti, passa per il reclutamento autonomo dei docenti e si chiude con un sistema combinato di valutazioni ex-ante ed ex-post. Non posso non far notare che questo sistema porta a far concentrare il 50% del finanziamento pubblico in 10 atenei, per tutti e due i canali di finanziamento descritti. Non so se il nostro Paese sia pronto ad accettare una tale disparità tra atenei. Ma l’eccellenza diffusa è insostenibile. Forse una rete di eccellenza aggiunta a un solido sistema educativo diffuso, che già abbiamo, è quello che manca al nostro Paese?

    *Ordinario di Genetica Medica, Università di Napoli Federico II e Addetto scientifico, Ambasciata d’Italia a Londra

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