Giovanni Pantaleone Aiello è morto di infarto a Montauro, suo beun ritiro catanzarese in Calabria.
L'ex poliziotto in servizio alla Squadra Mobile di Palermo legato, secondo la Dda di Reggio Calabria, a Bruno Contrada, ex numero due del Sisde, era sospettato di avere avuto un ruolo in diverse eclatanti vicende stragiste nel contesto di oscuri e inquietanti rapporti fra criminalità organizzata (siciliana e calabrese) e apparati statali deviati.
E' morto dunque l'uomo dei misteri delle stragi, tirato in ballo anche per le vicende legate alla morte di Antonio Agostino, il poliziotto ucciso il 5 agosto '89 e, soprattutto, per la strage di via D'Amelio in cui perse la vita Paolo Borsellino e la sua scorta.
La storia di Aiello si lega a doppio filo, secondo la ricostruzione della Procura avallata da un giudice terzo, a quella di una cosca (seppur in disgrazia) di ‘ndrangheta e a quella di un suo uomo di riferimento.
La cosca è Lo Giudice e l'uomo e Nino detto il “nano” Lo Giudice.
Quest'ultimo lascia memoriali contraddittori in cui prima accusa gli uni e poi gli altri, prima collabora e poi non collabora. Uomo di cui si può dire tutto ed il suo contrario (alcuni pm e alcune procure infatti lo fanno o lo hanno fatto).
La Procura di Reggio ricostruisce come i nervi di Lo Giudice fossero saltati quando, in un colloquio investigativo nel dicembre 2012 dell'allora sostituto procuratore nazionale antimafia Gianfranco Donadio, viene fuori il nome di Aiello (detto anche “faccia di mostro”).
Fino a quel momento – ricostruisce la procura di Reggio Calabria – pur avendo affrontato temi spinosissimi (compresi i contatti che lui e suo fratello Luciano avevano con appartenenti alla magistratura ed alle Forze dell'Ordine) tutto era filato liscio. Non aveva mai ritrattato e mai aveva smesso di collaborare. E men che meno si era terrorizzato, aveva messo in guardia i congiunti ed aveva tentato di fuggire. Né, mai, aveva manifestato agli inquirenti, non solo espressamente, ma neppure per fatti concludenti, preoccupazione per la sua incolumità e per quella dei suoi cari.
Donadio – che fa colloqui investigativi su diretta delega dell'allora capo della Procura nazionale antimafia Piero Grasso – porta il “nano” Lo Giudice sul terreno delle stragi e dei suoi possibili ulteriori protagonisti e quello dei suoi rapporti (confermati peraltro, non solo dal pentito calabrese Consolato Villani ma, anche, da altri elementi indiziari) con un soggetto quale Aiello, che sulla stessa base delle dichiarazioni di Lo Giudice, risultava essere un uomo che agiva nell'ombra, fra un lontano passato nello Stato ed in campi d'addestramento militari, ed un passato più recente ed il presente, al fianco del crimine organizzato e di pericolose entità deviate, non individuate.
Dopo il colloquio investigativo, comunque, seppure turbato, Lo Giudice continuò a collaborare e a rendere dichiarazioni anche in sede dibattimentale (da dicembre 2012 a maggio 2013).
Il turbamento di Lo Giudice, ricostruisce la Dda, lo si comprende appieno anche alla luce di un ulteriore fattore: la miscela fra gli argomenti trattati nel corso del colloquio investigativo e l'appartenenza di Donadio alla Direzione nazionale Antimafia. Era lo stesso ufficio del quale, fino a pochi mesi prima, aveva fatto parte il pm Alberto Cisterna. E Cisterna, ricorda il Gip Adriana Trapani nel provvedimento che a fine luglio ha firmato l'ennesimo provvedimento contro i presunti mandanti di due carabinieri uccisi nel ‘94, proprio a seguito delle indagini seguite alle reiterate accuse dello stesso Lo Giudice – che attribuiva a Cisterna comportamenti ambigui e collusivi con suo fratello Luciano, indagato per gravissimi reati di criminalità organizzata – era stato trasferito dal Csm dalla Dna ad altra sede. A ciò si aggiunga che dai racconti di Lo Giudice, Cisterna e Aiello erano, sia pure indirettamente, legati fra loro dal fatto che entrambi erano in rapporti con il capitano dei Carabinieri Spadaro Tracuzzi, ufficiale di polizia giudiziaria condannato per avere concorso, da esterno, proprio nella cosca Lo Giudice. Spadaro Tracuzzi, ricordiamolo, il 26 luglio ha subito una perquisizione e con lui anche un detenuto con il quale ha diviso la cella.
La tensione sale e Lo Giudice, a quel punto, fugge e si dà alla macchia.
Lo Giudice, in un memoriale, spiegherà che, non solo, aveva notato presenze inquietanti nelle adiacenze della sua abitazione in località protetta e che vi erano stati dei tentativi di contattarlo da parte di soggetti non meglio identificati, ma che il contatto, infine, vi era stato e che, avvicinato e portato, manu militari, in una macchina da sedicenti carabinieri, verosimilmente in servizio presso qualche apparato di sicurezza, era stato ammonito a non parlare più di Aiello. Lo Giudice replicò ai Carabinieri che non aveva detto niente sul conto di costui e che ne aveva la prova, invitando uno di tali soggetti a ritirare una copia di un documento informatico, meglio, di una registrazione che dimostrava la fondatezza della sua discolpa. Cosa che in effetti, poi, secondo il racconto del Lo Giudice, avveniva posto che copia di questa registrazione veniva effettivamente da lui consegnata ai suoi interlocutori.
Ma qui, per capire di che registrazione si trattasse, deve essere introdotto un ulteriore punto che, peraltro, chiarisce ancora meglio, e definitivamente, quale fosse già l'inquietudine di Lo Giudice dopo il colloqui investigativo del dicembre 2012 in Dna e da cosa fosse determinato.
Come risulta dalla documentazione trasmessa dalla Dna, Nino Lo Giudice, all'esito del colloquio investigativo con Donadio, si era impegnato a fornire, non appena rientrato nella località protetta, tramite gli ufficiali di polizia giudiziari, al Procuratore nazionale antimafia, una copia cartacea di alcune foto di Giovanni Pantaleone Aiello. Foto che aveva custodito nel suo pc, di cui, a suo dire, disponeva, in quanto consegnategli dal suo affiliato Antonio Cortese.
Cortese, sempre secondo il racconto di Lo Giudice, aveva avuto, a sua volta, la disponibilità di queste foto, in quanto, lo stesso Lo Giudice gli aveva ordinato di scattarle (all'insaputa di Aiello) durante un pedinamento dello stesso Aiello, ordinato da Lo Giudice che evidentemente non si fidava di Aiello, di cui, evidentemente, aveva, già allora, un evidente timore, per avere una traccia dei luoghi e delle persone frequentate da Aiello.
Ebbene, in tale occasione, non solo, Lo Giudice, rientrato nel suo appartamento in località protetta, anziché stampare le foto che aveva asserito di avere nel pc e metterle nella busta da recapitare al Pna, inseriva, nella stessa, dei fogli bianchi per poi consegnare il tutto agli ufficiali di polizia giudiziaria che avevano il compito di ritirarla chiusa da Lo Giudice e consegnarla al Pna, ma inscenava una pantomima, da cui. peraltro, traspariva tutto lo stato di agitazione del collaboratore. In particolare, nel corso delle registrazioni video, ordinava, alla sua convivente di riprenderlo con una telecamera mentre spiegava ad alta voce che, poiché lui non sapeva nulla di questo Aiello, nella busta che l'allora capo della Procura nazionale Piero Grasso attendeva, anziché le foto di quest'ultimo, inseriva, per l'appunto, dei fogli bianchi.
Il filmato, girato la sera del colloquio investigativo e cioè la notte fra il 14 ed 15 dicembre 2012, venne poi inviato su opportuno supporto informatico, alcuni mesi dopo, in uno con i memoriali di ritrattazione.
«La reazione di Lo Giudice, ove fosse da rapportare ad una normale richiesta di esibizione di copia di documentazione fotografica da parte della Autorità giudiziaria (che, per di più, aveva ricevuto indicazioni, dallo stesso Lo Giudice) – si legge testualmente nell'ordinanza firmata dal Gip Adriana Trapani – sarebbe stata abnorme e difficilmente spiegabile. Specie se si tiene conto del fatto che parliamo di un uomo freddo e navigato come Lo Giudice. Che, peraltro, se, davvero, nulla avesse avuto a che tare con Aiello, non si capisce perché si sarebbe dovuto preoccupare tanto. Mentre, quella paura, quel terrore, quella concitazione, potevano spiegarsi ed avere una loro logica solo se fossero ricorse due condizioni : l'effettiva esistenza di tali rapporti e, al contempo, la loro straordinaria pericolosità che consigliava di occultarli per quanto possibile.
Insomma dopo una incauta apertura durante il colloquio investigativo (da qui, anche, una certo risentimento verso il magistrato che l'aveva condotto) bisognava correre ai ripari. Si doveva negare tutto. Quelle ammissioni erano state “forzate” e quel filmato, nella lucida logica di Lo Giudice, doveva servire come una sorta di assicurazione sulla vita, come un documento da utilizzare in caso di necessità».
Ora fino a qui va tutto bene ma la domanda che ci si pone è: ma ‘sto Lo Giudice aveva o non aveva direttamente o con la sua cosca contatti con Aiello? Perché se la risposta è si – fuga o non fuga, ritrattazione o non ritrattazione, memoriale o non memoriale – allora è solare che la presenza di Aiello in Calabria, secondo la ricostruzione della Procura, non è certamente legata alle vacanze estive o allo svernare in riva alle onde.
E no. E' legata, secondo la Dda di Reggio, alla stagione stragista che, con la morte dei due carabinieri nel '94 e il tentativo di farne fuori altri, in Calabria ha avuto la sua coda concordata tra Cosa nostra e ‘ndrangheta.
Ebbene, come si evince dall'interrogatorio di settembre 2014 di Lo Giudice e come ammesso e peraltro riconosciuto da Consolato Milani, uno dei due killer dei Carabinieri freddati allo svincolo di Scilla, in sede di individuazione di persona, il 5 marzo 2014, Giovanni Pantaleone Aiello, effettivamente frequentava la cosca Lo Giudice.
Dunque Lo Giudice era preoccupato non di un fantasma ma di un soggetto ( e di tutti i collegamenti che a questo facevano capo) in carne ed ossa che lui ben conosceva la cui pericolosità, evidentemente, considerava ben maggiore di quella di tutti gli altri soggetti (che non erano propriamente delle mammole scrive il Gip Trapani) che, fino a quel momento, aveva chiamato in correità.
«Evidente che ci troviamo di fronte ad un depistaggio nel depistaggio – si legge ancora nell'ordinanza – cui Lo Giudice si è indotto per mascherare i veri beneficiari della ritrattazione (Aiello e Cosa Nostra) e, quindi, per mascherare, per annegare, in una più ampia cortina fumogena, il messaggio che intendeva mandare a chi di dovere sul suo intendimento di non rendere (più) dichiarazioni che coinvolgessero Aiello o Cosa Nostra.
Invero, una ritrattazione, o, comunque, una smentita mirata esclusivamente sulle dichiarazioni appena citate, sarebbe stata, infatti, sospetta ed avrebbe potuto causare una reazione, un effetto contrario a quello voluto, facendo concentrare l'attenzione degli inquirenti proprio sulle specifiche dichiarazioni ritrattate. Una ritrattazione generale, invece, proprio per la sua genericità, lascia disarmati e non permette, in assenza di altri elementi indiziari, di individuare la vera ragione dell'inquinamento probatorio».
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