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Atac al concordato preventivo, ma il nodo è garantire i servizi

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LA GRANDE MALATA DELLE PARTECIPATE ROMANE

Atac al concordato preventivo, ma il nodo è garantire i servizi

La strada del concordato preventivo in continuità per Atac, «la grande malata delle partecipate romane», come l’aveva definita l’assessore Massimo Colomban, è decisa: il Campidoglio, con il neoassessore al Bilancio Gianni Lemmetti e l’imprimatur dei vertici M5S, sta lavorando a testa bassa con il management della società dei trasporti per approntare il piano. L’ufficializzazione dovrebbe arrivare con il prossimo Cda Atac, entro il 7 settembre. Nella speranza che la formula usata per l’Aamps di Livorno, seguita da Lemmetti con il sindaco Filippo Nogarin, funzioni anche nella Capitale guidata dalla pentastellata Virginia Raggi. Nonostante i numeri diversissimi: Aamps conta circa 300 dipendenti e aveva un debito a fine 2014 di 49 milioni; Atac ha 11.600 lavoratori e un debito di 1,35 miliardi.

«Data la situazione, l’unica via percorribile anche per Atac - concorda Vincenzo De Sensi, docente di Diritto delle crisi d’impresa alla Luiss - è quella del concordato preventivo in continuità. Che però implica costi superiori a quello liquidatorio, perché occorre garantire la continuità aziendale in pendenza di concordato. Sarà un percorso difficile e costoso, ma può funzionare».

Chiaro il vantaggio della procedura: bloccare eventuali azioni esecutive da parte dei singoli creditori. Ma le incognite sono due: il via libera dei creditori al piano e la prova, davanti al tribunale, che la continuità aziendale venga assicurata. Sulla prima non dovrebbero esserci intoppi. «Poiché il comune e Unicredit dovrebbero arrivare alla maggioranza dei creditori (il Campidoglio vanta un credito di 429,5 milioni cui si potrebbero aggiungere altri 200 milioni per le poste non riconciliate nel bilancio consolidato da approvare entro il 30 settembre, ndr) - ragiona De Sensi - l’accordo dovrebbe essere scontato. Semmai potrebbe ravvisarsi un conflitto d’interessi, perché alla fine il socio unico di Atac sarebbe anche creditore di maggioranza». Preoccupa di più, comunque, la seconda variabile. Perché è dura garantire la continuità dell’attività di un’azienda che ha 1.500 mezzi da sostituire su 2.500 (operazione che costerebbe 500 milioni), un tasso di assenteismo del 12,7% (nel terzo trimestre 2016) e un trend al ribasso dei ricavi da biglietti e abbonamenti (260 milioni nel 2015 su un fatturato di poco meno di un miliardo), colpa di un’evasione non aggredita.

Ma quali sarebbero i costi del concordato per lavoratori e collettività? A Livorno crediti inesigibili per 12 milioni sono stati ribaltati sulla Tari, che infatti è cresciuta nel 15% nel 2015 e del 10% nel 2016. «Per i cittadini romani - sostiene De Sensi - potrebbero verificarsi disservizi, scioperi e forse un aumento del costo dei biglietti. I posti di lavoro potrebbero essere preservati, ma una ristrutturazione del costo del lavoro in genere è inevitabile». Non a caso è già al vaglio l’ipotesi di una revisione della contrattazione integrativa. Torna in auge anche la via mai imboccata della vendita degli ex depositi. «Ma se una società vende in concordato si applica la disciplina delle offerte concorrenti», sottolinea De Sensi. In sintesi: servirebbe un’asta, e non è certo che il valore aumenterebbe. «Il criterio di fondo da tenere presente è che in situazioni di pre-insolvenza o insolvenza i margini di manovra sono ristrettissimi o inesistenti. Io spero che funzioni, e mi preme fare una riflessione più generale: stiamo parlando della Capitale e di un’azienda di valore nazionale. La politica non può derubricarlo a fatto romano. Servirebbe una legge di emergenza su Roma Capitale». Più o meno la richiesta di Colomban, che a breve presenterà il suo piano di riordino delle oltre 40 partecipate di Roma Capitale. Tra cui il ginepraio di Ama e dei rifiuti: il piano industriale, che il nuovo Cda aveva promesso di rivisitare, ancora non si è visto.

Al supermanager Paolo Simioni (presidente, Ad e Dg di Atac, una summa di incarichi che potrebbe finire nel mirino dell’Anticorruzione) e al consulente Carlo Giampaolino l’arduo compito di traghettare Atac verso il lido del concordato. Sapendo che non sarà questione di giorni: servirà almeno un anno perché la procedura vada in porto. E nel frattempo? «Va assicurata la continuità aziendale, appunto», ribadisce De Sensi. «Se si fallisse su questo fronte bisognerebbe switchare su un’altra procedura, ovvero l’amministrazione straordinaria. Non è da escludere che si vada a finire come Alitalia».

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