Dal 1° gennaio 2012 - con regole nuove per gli avvocati dopo la legge 124/2017 - è possibile costituire società che abbiano per oggetto l’esercizio di attività riservate a iscritti a Ordini o Albi professionali (articolo 10, legge 183/2011). La legge 183/2011 ha infatti abolito il divieto, contenuto nella legge 1815/1939, che consentiva l’aggregazione tra professionisti solo con la formula dello «studio associato»: divieto che in realtà è stato introdotto per ragioni razziali, e cioè impedire a coloro che professavano la religione ebraica di “nascondersi” dietro il paravento societario.
Le Stp possono indifferentemente essere società di persone, società di capitali e società cooperative; ed è previsto che esse evidenzino la loro particolare natura rispetto alle società “normali” apponendo, nella ragione sociale, l’espressione «società tra professionisti».
Dalla scelta del tipo sociale deriva l’applicazione delle regole relative a ciascun tipo: ad esempio, le norme in tema di responsabilità patrimoniale dei soci, di dotazione patrimoniale minima, di strutturazione organica della società. Anche la società semplice può dunque essere “usata” come Stp: anzi, se si sceglie la società di persone come forma organizzativa della società professionale, indubbiamente la società semplice appare una forma assai idonea, per la sua intrinseca natura non commerciale, dovendo la Stp avere come oggetto «l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci».
Se si sceglie di organizzare l’attività professionale con una società commerciale c’è poi il problema della sua sottoponibilità o meno a fallimento: nel silenzio della legge, è dubbio se prevalga la natura oggettivamente commerciale della forma societaria oppure, come pare, la natura intrinsecamente non commerciale dell’attività professionale esercitata (un recente decreto del Tribunale di Forlì, di cui «Il Sole 24 Ore» ha dato notizia il 12 luglio scorso, ha sancito che la Stp non è soggetta al fallimento perché non svolge attività di impresa commerciale).
I soci della Stp possono essere: professionisti iscritti a Ordini, Albi e Collegi; professionisti di Stati Ue; soggetti non professionisti «soltanto per prestazioni tecniche»; soggetti non professionisti che diventano soci della Stp «per finalità di investimento»: sono questi i soci di capitale, vituperati da chi è animato dalla concezione secondo cui professione e impresa sono mondi inconciliabili.
La legge 183 tace sulla ripartizione del capitale tra professionisti e non: e quindi si può avere una Stp con professionisti al 90% e non professionisti al 10%, e viceversa. Nella legge nulla è detto nemmeno sul punto della composizione degli organi: e quindi è ipotizzabile, ad esempio, che in una società in accomandita semplice tra professionisti, l’accomandatario sia un non professionista, così come un consiglio di amministrazione di una Spa professionale potrà essere, in tutto o in parte, composto da non professionisti; tuttavia, il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei soci professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.
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