Con una serie di risoluzioni di fine luglio – dalla n. 97/E alla 101/E – l’agenzia delle Entrate ha fornito la propria interpretazione in materia di abuso del diritto. Si tratta, in via di principio, di pronunciamenti in gran parte condivisibili, soprattutto nel riconoscimento del “dogma” del legittimo risparmio d’imposta e del fatto che l’abuso del diritto costituisce una vicenda residuale e molto limitata (numericamente). Infatti, l’abuso del diritto non può essere ingabbiato in formule e statuizioni dettagliate, trattandosi di vicenda che non ha un preciso confine (ha invece un non-fine) in quanto l’atto “abusivo” si pone, di fatto, al di fuori dal diritto. Tant’è che i “padri” illuminati del Codice civile italiano, scientemente, preferirono non introdurre una previsione generale sull’abuso del diritto, ritenendo, peraltro, che apparisse pleonastico stabilire che l’abuso del diritto è vietato.
Il fatto è che, in ambito fiscale, oramai quasi due anni fa, si è scelto di emanare una norma che risulta una sorta di mista accondiscendenza alle “indicazioni” comunitarie e a quelle provenienti dalla giurisprudenza di legittimità interna. Ne è scaturito un testo “frastagliato” e “particolarista”, che risulta di difficile attuazione, tant’è che gli unici elementi in positivo che ne sono derivati sono quelli che identificano cosa “non è” l’abuso del diritto. In sostanza, dal testo di legge si trae la conclusione che l’abuso del diritto può essere individuato solamente per esclusione.
Tra rispamio e abuso
Da qui la formula indiretta che l’abuso del diritto – in quanto indeterminato “per natura” - inizia dove finisce il legittimo risparmio d’imposta e si realizza quando il vantaggio indebito conseguito non è imputabile all’evasione. Il che risulta un fondamentale punto di partenza, posto che permette di evitare fraintendimenti – come quelli sorti in passato – in cui evasione ed elusione venivano mischiati. Inoltre, permette di considerare che quando il contribuente si mette nelle condizioni di legge per fruire di un vantaggio legittimo non ci debbano essere necessariamente «valide ragioni economiche» sottostanti.
Tutto questo è stato riconosciuto ora anche dalle Entrate, in particolare con la risoluzione 97/E avente per oggetto una scissione parziale proporzionale e il successivo trasferimento delle partecipazioni (da taluni soci previamente “affrancate”) della scissa. La stessa Agenzia riconosce che se il sistema offre più percorsi alternativi e tutti questi percorsi risultano legittimi, il contribuente può scegliere quello fiscalmente meno oneroso, a prescindere dalla sostanza economica delle operazioni sottostanti.
Le operazioni societarie
Il caso riguardava una società che svolge un’attività sanitaria e possiede un compendio immobiliare. Viene realizzata una scissione proporzionale a favore di una società beneficiaria neocostituita, alla quale viene assegnato il ramo immobiliare. Successivamente vengono trasferite tutte le partecipazioni della scissa, rimasta titolare del solo ramo operativo, posto l’interesse limitato a quest’ultimo degli acquirenti delle medesime partecipazioni.
In proposito, l’Agenzia ha riconosciuto il principio del legittimo risparmio d’imposta, posta la sostanziale “indifferenza” del sistema alla circolazione dell’azienda sia che avvenga mediante cessione diretta che indiretta.
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