Per la politica commerciale europea sono giorni decisivi, potenzialmente in grado di cambiare verso per anni ai rapporti di forza con la Cina e a flussi di mercato per svariati miliardi. I negoziati tecnici in corso a Bruxelles tra il Parlamento europeo e la Commissione sulla riforma della metodologia antidumping della Ue non stanno prendendo una piega favorevole all’industria manifatturiera, che vede l’Italia battagliare in prima linea. E senza una valida mediazione il “trilogo” (il confronto Commissione-Consiglio-Parlamento) in programma il 12 settembre a Strasburgo rischierebbe di chiudere definitivamente i giochi con un testo pieno di insidie.
Il Parlamento europeo con un fronte trasversale difende gli emendamenti votati nei mesi scorsi e alza un muro contro il pressing, considerato peggiorativo, della Commissione. Negli ultimi due giorni una fitta delegazione di grandi imprese ed associazioni europee, di diversi settori, ha incontrato il vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen, responsabile politico del dossier, il presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani, e i responsabili dei principali gruppi parlamentari. Per l’Italia era presente Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria per l’Europa: «La Cina non è un nemico – dice – ma si pretendono regole di gioco alla pari. In questo contesto sorprende l’accelerazione che ha voluto imprimere la Commissione, tra l’altro in piena estate, anche perché non si può ridimensionare il ruolo di co-legislatore del Parlamento. Ci sono aspetti su cui non si può transigere, come l’onere della prova del dumping. Si immagini se fosse a carico delle imprese europee: farebbero in tempo a fallire prima di poter dimostrare qualcosa sulla base dei dati cinesi».
Salvatore Cicu (Partito popolare europeo), relatore del dossier all’Europarlamento, fotografa la situazione con realismo. «Deve esserci ancora spazio per flessibilità e mediazione, solo così si può chiudere. Oggi (ieri per chi legge, ndr) la Commissione ha presentato a me e ai relatori “ombra” la struttura del report che sarà determinante per dimostrare le distorsioni di mercato e l’ancoraggio dei costi, elementi che possono poi dare il via libera ai dazi. Sono 400 pagine, da esaminare bene, ma si può già dire che ci sono elementi che provano le distorsioni del Sistema-Cina». Tuttavia non può bastare. «Ho presentato un’ulteriore proposta di compromesso in vista del trilogo – aggiunge Cicu – solo se c’è volontà di mediazione si potrà chiudere».
L’Europarlamento ha già fornito un contributo importante con alcuni emendamenti per modificare posizioni della Commissione che nella fase iniziale di questa lunga maratona equivalevano di fatto a una concessione alla Cina del Mes (lo stato di economia di mercato) seppure con la veste di un approccio giuridico nuovo. L’ulteriore proposta del relatore in Parlamento verte su tre nodi: l’onere della prova per dimostrare l’esistenza o l’assenza del dumping; “grandfathering”, ovvero la copertura giuridica per i procedimenti antidumping in corso; determinazione dei costi. Il periodo transitorio per le misure già in vigore si allungherebbe di ulteriori tre anni, ma soprattutto l’onere della prova non dovrebbe mai essere a carico dell’industria europea, ma degli esportatori dei Paesi terzi o delle strutture tecniche della Commissione. «Il negoziato avviene in un quadro politico delicato – osserva Cicu – Italia, Francia e Spagna hanno posizioni chiare, i Paesi del Nord Europa che hanno delocalizzato tanto o non hanno grandi quote industriali sono meno intransigenti nei confronti della Cina». La Germania guidata dalla Merkel impegnata nella corsa elettorale è colpita dai dazi in alcuni comparti ma non, ad esempio, nel grande settore automotive, e predilige un atteggiamento silenzioso in questa fase di interlocuzione con la Commissione Juncker.
Il governo italiano, anche con la Rappresentanza a Bruxelles, invece continua a lavorare dietro le quinte. Il Parlamento europeo dal canto suo ha individuato dei punti invalicabili, una linea rossa. Secondo Gianni Pittella, presidente del gruppo Socialisti e Democratici, «ci sono due obiettivi irrinunciabili. Il primo è l’inversione dell’onere delle prova che non può gravare sulle imprese europee. Il secondo è la previsione di una clausola relativa al dumping sociale ed ambientale. Proprio oggi – aggiunge - ho incontrato il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, al quale ho esposto con chiarezza la posizione dei socialisti: non siamo disposti a chiudere il trilogo se non saranno soddisfatti questi due punti. Oltretutto, non basta rendere noto il rapporto macroeconomico sulla Cina, servirà chiarezza anche sui singoli rapporti settoriali che preparerà la Commissione».
Anche M5S, da sempre contraria alla concessione del Mes, con l’eurodeputato David Borrelli insiste sulla scarsa trasparenza: «Il report sulle distorsioni significative ci è stato messo a disposizione solo oggi chiedendoci una decisione praticamente per domani. Ciò non rispetta il Parlamento. Il negoziato, così, non si può chiudere».
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