Scatta dopodomani, al compimento di 4 anni, 6 mesi e un giorno, la fatidica data in cui i 608 parlamentari (417 deputati e 191 senatori) alla prima legislatura maturano la pensione calcolata con il sistema contributivo: un assegno da 1.000-1.100 euro netti che incasseranno al compimento di 65 anni così come prevede la riforma dei vitalizi approvata nel 2011.
La pensione
Va detto subito che si tratterà di pensione de facto e non di vitalizio perché calcolata sulla base dei contributi effettivamente versati (come accade a tutti gli italiani) e perché scatterà non prima dei 65 anni, che però possono diventare 60 in caso di rielezione per almeno altri 4 anni 6 mesi e un giorno. Resta il fatto che una delle ragioni non scritte per cui dopo il referendum del 4 dicembre 2016 non sono scattate le elezioni anticipate è stata proprio la necessità (dei parlamentari) di arrivare al 15 settembre 2017 per «aver diritto» alla pensione pagata da Montecitorio o Palazzo Madama.
Spetta al 64% dei parlamentari alla prima legislatura
Un diritto di «massa». Perché stavolta l’onore della prima legislatura non era riservato a una pattuglia limitata ma al 64% dei parlamentari. Alle elezioni del 2013 ci fu infatti un rinnovamento cospicuo degli eletti in Parlamento tanto che i deputati e i senatori alla prima esperienza (e dunque interessati a tagliare il traguardo del 15 settembre) sono ben 608 su 945, praticamente due su tre.
Per i 608, se la legislatura fosse finita prima, oltre al danno sarebbe scattata anche la beffa. Infatti non solo non avrebbero ricevuto la pensione ma avrebbero anche perso i contributi versati destinati a rimanere per sempre nelle casse delle due Camere.
I contributi versati dai parlamentari
I parlamentari (così come tutti i lavoratori italiani) accantonano ogni mese un terzo circa della loro paga per vedersela restituire come pensione. Ogni deputato versa di proprio più o meno 1.000 euro al mese (cui si aggiungono i versamenti del datore di lavoro, Camera o Senato). Dunque il calcolo è facile: le elezioni anticipate sarebbero state un salasso per i 608 che, se si fosse votato a maggio o giugno di quest’anno, avrebbero visto andare in fumo circa 40.000 euro di versamenti previdenziali già pagati. Fra i 608 che domani potranno “brindare” si contano tra gli altri tutti i 154 eletti con il Movimento 5 Stelle (che ora sono scesi a quota 123 poiché una trentina sono stati espulsi o hanno cambiato gruppo), oltre 200 parlamentari eletti col Pd e una quarantina dei 54 eletti di quella che fu Scelta Civica.
L’assegno previdenziale maturato
Coloro che non saranno rieletti nel 2018, al compimento di 65 anni, incasseranno un assegno che dovrebbe aggirarsi sui 1.000-1.100 euro al mese, che in molti casi si aggiungeranno ad altre rendite previdenziali dovute ad altri lavori. Sempre che la legge che nel 2011 abolì i vitalizi parlamentari per il futuro e introdusse il calcolo contributivo per gli onorevoli (dal 2012) nel frattempo non cambi. Il Senato, in questi giorni sta esaminando la legge del deputato Pd Matteo Richetti, approvata a luglio dalla Camera, che intende ricalcolare con il contributivo anche i 2.600 vecchi vitalizi oggi in pagamento.
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