Il centrosinistra da ricostruire? Le alleanze? La coalizione? «Il centrosinistra siamo noi, la più grande comunità politica d'Europa». Le aperture di Pier Luigi Bersani, che invoca primarie di coalizione per individuare il candidato premier della coalizione? «C'è qualcuno alla nostra sinistra o presunta tale che ci ha educato alla bandiera, alla “ditta” e al rispetto della nostra collettività e alla prima occasione ha lasciato la bandiera e la ditta per un risentimento personale che non ha ragione di esistere. A questo risentimento rispondiamo con il sentimento di una politica diversa. Per essere di centrosinistra si deve fare di più ma il primo modo è creare crescita e benessere, non fare i convegni». E ancora, a scanso di equivoci sul tema delle alleanze: «La nostra sinistra è quella di Obama da cui saremo il 31 ottobre e 1 novembre a Chicago. Non è la sinistra rivendicativa e vendicativa, non la sinistra di Bertinotti che ha rotto il patto di governo e ha fatto vincere la destra. C'è chi segue Obama e chi segue Bertinotti».
Porta chiusa a Mdp
Nei giorni in cui si è ritornato a parlare di riforma della legge elettorale e di possibili alleanze a sinistra Matteo Renzi - che ha concluso a Imola i lavori della festa nazionale dell'Unità davanti a una platea gremita nonostante il cattivo tempo - sembra chiudere le porte a qualsiasi tipo di dialogo con gli scissionisti di Mdp che hanno seguito Bersani e D'Alema e incentra il suo discorso sull'”orgoglio” Pd: l'orgoglio di essere l'unica comunità democratica di fronte alla democrazia del clic del M5S («noi non siamo dipendenti di un'azienda privata che fa software, ma cittadini di un Paese che si chiama Italia. Non scegliamo il capo sulla base di un principio dinastico: se ne va il padre e arriva il figlio. Ma scegliamo il leader sulla base di un principio democratico, votano in milioni a casa nostra»); l'orgoglio di aver riportato il segno più in economia in questi anni di governo («abbiamo portato il Paese fuori dalla crisi creando più di 900mila posti di lavoro»).
Giornalisti fondamentali
«O vincono loro, i populisti, quelli che urlano, o vinciamo noi», dice Renzi rilanciando l'idea del Pd come unico argine al populismo. Quasi un mantra della campagna elettorale già in atto. Non a caso Matteo Salvini e il M5S sono i principali bersagli del suo intervento. E Renzi ha anche buon gioco a difendere la categoria dei giornalisti dopo le aggressioni avvenute durante la kermesse grillina di Rimini: «Un grande abbraccio a chi svolge la funzione civile del giornalista, noi non li aggrediamo e gli auguriamo buon lavoro. Anche quando non siamo d'accordo sappiamo che in democrazia il giornalismo è fondamentale», dice ricordando l'assassinio da parte del camorra del giovane Giancarlo Siani 32 anni fa.
Votare no al Def un autogol
La porta chiusa di Renzi a Mdp arriva anche in Parlamento, dove il 4 ottobre ci sarà la fondamentale votazione sullo scostamento dal deficit che precede il voto sulla Nota di aggiornamento al Def e che necessita della maggioranza assoluta, 161 voti. I senatori bersaniani non danno per scontato il loro voto, sulla carta fondamentale, legandolo alle loro richieste sulla legge di bilancio. Le parole del leader del Pd a riguardo, come quelle già pronunciate dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan proprio da Imola, sono chiarissime: votare no sarebbe un gol contro l'Italia, dal momento che si negherebbero circa 8 miliardi di flessibilità in più concordata con Bruxelles da investire nella crescita e nel lavoro. «Il passaggio del 4 ottobre è fondamentale. Da qui arrivi un appello a tutte le forze politiche. Leggo di qualcuno che vorrebbe smarcarsi dal voto sul Def, come se per un gioco politico si cercasse di far scattare l'Iva. Invitiamo tutti a considerare quel passaggio importante, la quota 161 al Senato non può essere oggetto di ricatti e trattative. Serve agli italiani per evitare lo scatto delle clausole di salvaguardia e sarebbe assurdo che qualcuno giocasse la palla contro l'Italia».
Mdp: Renzi la smetta di provocare
Un passaggio che non può essere sottoposto a ricatti o a trattative: parole che per la verità provocano un brivido lungo la schiena ai senatori democratici presenti a Imola, che stanno preparando il difficilissimo passaggio del 4 ottobre. E infatti il senatore di Mdp Federico Fornaro reagisce subito parlando di provocazione e chiedendo al governo ascolto per le richieste di un partito di maggioranza: «Il governo Gentiloni non è un governo monocolore con una maggioranza numerica autosufficiente – ricorda Fornaro – ed è quindi naturale che il presidente del Consiglio si renda disponibile ad ascoltare le ragioni di chi nelle aule parlamentari dovrà approvare il Def e la legge di bilancio: Renzi la smetta di fare il provocatore per interessi di mera propaganda elettorale».
Certo è che il leader del Pd la campagna elettorale l'ha di fatto iniziata con il discorso di Imola. E la decisione di puntare sul Pd come comunità è sottolineata anche dalla scelta coreografica: è la prima volta, a memoria di cronista, che Renzi pronuncia un importante discorso politico su un palco gremito di dirigenti: oltre al alcuni giovani militanti, i cosiddetti millenials, c'è tutto lo stato maggiore del partito: tra gli altri i ministri Delrio, De Vincenti, Minniti e la sottosegretaria a Palazzo Chigi Boschi; il portavoce Richetti, il presidente Orfini, il vicesegretario e ministro Martina, i capigruppo Rosato e Zanda. Tutti attorno al segretario, quasi in un abbraccio.
Un inedito nella comunicazione renziana, sottolineato anche dall'uso del “noi” invece che dell'”io”. Si punta sulla squadra, insomma. E accade anche che a discorso finito, quando il segretario si ritira dietro le quinte con i suoi dirigenti, un ministro come Marco Minniti – simbolo della nuova linea “dura” sui migranti - rimanga sotto il palco a concedere selfie e strette di mano ai tanti militanti che lo chiamano e lo avvicinano. Anche questo un inedito, e forse il segno del nuovo corso del Pd.
© Riproduzione riservata