Quanto ad esperienza politico-parlamentare il neopresidente della commissione d’inchiesta sulle banche ha pochi rivali. Pier Ferdinando Casini intraprende la strada che lo porta da Bologna a Roma quando Giulio Andreotti e Bettino Craxi ancora dettavano legge nella politica italiana. Il giovane Casini entra alla Camera per la prima volta nel 1983, a soli 28 anni. Un bel giovanotto che grazie alla formazione impartita dalla scuola democristiana (il padre era dirigente Dc a Bologna) e all’imprimatur della pragmatica corrente dorotea cresce rapidamente nei ranghi del partito.
Quel tanto che basta per essere confermato nelle successive legislature, ma non abbastanza da venir travolto dallo tsunami di tangentopoli, abbattutosi sulla Dc nel 1992. Anzi, Casini di necessità fa virtù: il sistema maggioritario, introdotto per la prima volta dal Mattarellum, non consente di rimanere nel mezzo e così fonda assieme ad un nutrito gruppetto di ex democristiani quarantenni (tra cui Clemente Mastella) il Ccd (Centro cristiano democratico), schierandosi con Silvio Berlusconi e la nascente Fi, la Lega di Bossi e Gianfranco Fini nella Casa delle libertà, per il primo governo di centrodestra della seconda Repubblica (1994).
Con il centrodestra resta all’opposizione anche quando una parte dei suoi compagni di partito (Mastella) decide di sostenere il governo Dini. Una fedeltà che sarà premiata nel 2001 con la sua elezione a presidente della Camera, incarico che – come riconosciuto anche dall’opposizione - svolge con equilibrio. Ad aiutarlo non è solo il carattere ma la lungimiranza dietro la quale forse si nasconde il sogno mai confessato di salire un giorno al Quirinale.
Nel frattempo dà vita all’Udc, con l’obiettivo di rafforzare l’area di centro per contrastare l’egemonia di Berlusconi e Bossi nella coalizione. I rapporti con gli alleati diventano sempre più difficili e quando Berlusconi lancia dal predellino della sua auto il futuro Pdl, Casini si chiama fuori finendo all’opposizione. Un'opposizione responsabile, ci tiene a rimarcare, ma pur sempre opposizione. Casini è convinto che il berlusconismo sia ormai agli sgoccioli e che ci sia lo spazio per dar vita a un nuovo partito dei moderati. Così quando nel 2011 il Cavaliere si dimette, l’ormai ex enfant prodige bolognese è pronto a rilanciarsi: prima offrendo il sostegno dei centristi al governo Monti e poi costruendo il patto elettorale con lo stesso presidente del Consiglio uscente.
Un matrimonio però poco duraturo quello con Monti , che infatti naufragherà già all’inizio dell’attuale legislatura che si apre con il sostegno al governo Letta, poi a quello Renzi e per finire a Gentiloni. Con il segretario del Pd si schiererà a favore della riforma costituzionale. Una scelta questa che farà deflagrare l’Udc e il rapporto con Lorenzo Cesa, che di Casini era stato testimone nelle seconde nozze con Azzurra Caltagirone.
Si arriva così alla cronaca degli ultimi mesi, con Casini che si spende in prima persona per cucire l'alleanza tra il Pd e i centristi in Sicilia e si insedia ora alla guida della commissione d’inchiesta sulle banche. Un incarico che – siamo pronti a scommettere - non sarà certo l’ultimo.
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