Il destino dello ius soli, che molti ormai anche tra i dem danno per spacciato dopo il no ribadito dall’alleato di governo Angelino Alfano. E naturalmente l’importante votazione in Senato il 4 ottobre sullo scostamento dal deficit e la Nota di aggiornamento del Def, con i senatori bersaniani di Mdp - 16 voti necessari per raggiungere la maggioranza assoluta dei componenti dell’Aula richiesta per il voto sullo scostamento - che oscillano tra dichiarazioni responsabili e minacce di rottura. Questo lo sfondo dell’incontro di ieri tra il premier Paolo Gentiloni e il capogruppo del Pd a Palazzo Madama Luigi Zanda.
Sulla partita che riguarda Def e legge di bilancio da Palazzo Chigi confidano molto sulla mediazione in atto in queste ore da parte di Giuliano Pisapia, il leader di Campo progressista che guiderà la delegazione dei senatori di Mdp che sarà ricevuta a Palazzo Chigi tra lunedì e martedì. Proprio alla vigilia dell’importante voto sullo scostamento. Anche se i toni dei bersaniani restano alti, l’impressione è che stia prevalendo la volontà di un dialogo fattivo. «Noi siamo gente di governo, non faremo arrivare la troika», ha detto ieri Pier Luigi Bersani. Gli uomini di Pisapia stanno lavorando per arrivare a poche richieste comuni: un segnale sugli investimenti pubblici e l’abolizione dei superticket sanitari sulla diagnostica, una misura che costa 800 milioni alla quale l’ex sindaco di Milano tiene molto.
Ancora più complicata, se possibile, la partita sullo ius soli: lo stop di Alfano ha reso evidente il fatto che i numeri in Senato non ci sono. Ma il pressing della sinistra su Pd e governo è molto forte, e anche da parte della Cei: ieri il segretario dei vescovi Nunzio Galantino ha strigliato sia il governo sia Ap, ricordando che «si è accelerato sui diritti delle persone dello stesso sesso ma non si è voluto farlo su quelli degli italiani mantenuti senza cittadinanza». Nei giorni scorsi in ambienti renziani si ipotizzava di portare lo ius soli in Aula al Senato per tentare il via libera come atto finale della legislatura: «Se passa bene, se non passa non possono più accusare il Pd di non volerlo», è il ragionamento. Ma l’incontro di ieri tra Gentiloni e Zanda ha confermato la linea: si va in Aula solo se ci sono i numeri, e al momento non ci sono. Anche l’ipotesi di trovare una maggioranza alternativa a quella Pd-Ap, comunque difficile perché i voti della sinistra non compensano quelli dei centristi, è tenuta in stand by. Dipenderà anche dal destino della legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum, in Aula alla Camera dal 10 ottobre. Se passa il nuovo sistema il Pd dovrà costruire un’alleanza con i centristi nei collegi uninominali, e questo renderebbe più difficoltoso uno strappo su un tema sensibile come quello dei migranti. Mentre se il Rosatellum dovesse cadere sotto i colpi dei voti segreti le chance dello ius soli potrebbero risalire.
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